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16/11/24 ore

Il patriota polacco, di David Nachimson


  • Elena Lattes

1 settembre 1939, la Germania invade la Polonia, e quasi tutta Varsavia, bombardata a tappeto, viene praticamente distrutta. E' il giorno in cui la vita di milioni di persone, e in particolare degli ebrei, cambierà in maniera drammatica. Fra loro c'è anche David Nachimson, chiamato affettuosamente Davidek da parenti e amici, un giovane proveniente da una famiglia di intellettuali benestanti che da tre anni svolge il tirocinio presso una clinica dentistica.

 

Vive in una cittadina a poche decine di chilometri dal confine russo e, vedendo arrivare ondate interminabili di profughi, qualche giorno dopo decide di avviarsi verso Brest-Litovsk dove si trova un suo cugino e suo migliore amico, Adam. Il progetto è quello di andare in Unione Sovietica, ritenuta al riparo dalla guerra e dalle violenze perpetrate dai nazisti di cui già parlano sia la radio sia i nuovi arrivati.

 

Da lì comincerà il suo viaggio verso est che lo porterà in territori lontani, ostili e sconosciuti dove riuscirà a sopravvivere, anche se con enormi difficoltà e sofferenze - sofferenze tuttavia mai paragonabili a quelle patite dai suoi familiari rimasti in Polonia - e dove incontrerà coloro che andranno a formare la sua nuova famiglia.

 

Ne “Il patriota polacco” pubblicato da Edizioni Clandestine, il figlio Uri racconta le rocambolesche avventure del padre, come se fosse egli stesso, in prima persona, a farlo. Grazie al tono pacato e allo stile asciutto, quasi da cronista, attraverso la lettura delle vicissitudini private, si possono percepire chiaramente alcune delle innumerevoli tragedie di quel periodo.

 

La prima è quella del popolo polacco che subisce la feroce occupazione nazista e le violenze sovietiche contemporaneamente e negli anni successivi; la seconda, quella dei soldati tedeschi massacrati dai russi e dei russi massacrati dai tedeschi; la terza, la più devastante e duratura, quella degli ebrei: perseguitati e sterminati dai tedeschi, traditi, svenduti e violentati dai polacchi, rifiutati e, a volte, massacrati dai sovietici che si ritrovano in una trappola mortale senza via d'uscita.

 

“Il pericolo di essere sorpresi dai contadini ucraini, che si appostavano nelle foreste per derubare i profughi di passaggio, li costringeva a procedere con cautela. Sapevano bene che, se quelli avessero scoperto nel gruppo la presenza di ebrei, non si sarebbero limitati a privarli dei beni materiali, ma li avrebbero uccisi sul posto”.

 

Neanche dopo la guerra, dopo la sconfitta del nazismo i sopravvissuti ai campi riusciranno a tornare ad una vita normale: i loro ex vicini, ex “amici”, in gran parte privi di qualunque senso di umana pietà, dopo averli derubati di tutto, perfino dei bambini a loro affidati nella speranza di salvarli dalle torture e dalle camere a gas, continueranno a insultarli, picchiarli, e a ucciderli. Gli stessi bambini cresciuti come cristiani, verranno spesso maltrattati dagli stessi parenti più stretti: “Poco prima di morire, la madre le rese note le sue origini. Venuto a sapere ch'ella aveva sangue ebreo nelle vene, il marito chiese il divorzio e le figlie chiusero ogni rapporto con lei”.

 

Molteplici altri aspetti vengono affrontati in maniera sintetica, ma molto chiara: i sensi di colpa dei sopravvissuti che si tormentano chiedendosi se avessero potuto fare di più e cosa, per salvare i propri congiunti, e perché tutto questo era successo proprio a loro; l'indifferenza dei polacchi che vivono a pochi passi dai campi di sterminio; la violenza sulle donne appartenenti alla nazionalità nemica; la speranza di trovare nel rinascente Stato di Israele, quella pace che in Polonia ormai non c'è più e la possibilità di vivere in piena libertà la propria identità, senza subire violenti atti di razzismo.

 

David Nachimson si troverà costretto ad abbandonare la sua terra natìa dove non farà più ritorno. Tuttavia, nonostante, la sua famiglia di provenienza sia stata interamente inghiottita dal mostro antisemita, sebbene egli stesso sia costretto a subire violenze e soprusi, resterà attaccato alla cultura polacca fino alla morte, continuando ad amare la sua letteratura e a seguire i programmi televisivi via satellite.

 

L'assenza di facili sentimentalismi e di lunghe descrizioni dell'orrore non sminuisce la drammaticità degli eventi descrittie grazie all'onestà intellettuale dell'autore che non si sottrae alle verità scomode, il libro risulta essere apprezzabilissimo e molto commovente.

 

 


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