Il romanzo di Paola Cereda “Le Tre Notti dell’Abbondanza” (Ed. Piemme) si è aggiudicato quest’anno il Premio Pavoncella dedicato alla creatività femminile, durante la Cerimonia della Premiazione, avvenuta il 4 giugno, a Sabaudia.
Nata in Brianza, psicologa, Paola Cereda è appassionata di teatro. Dopo un lungo periodo come assistente alla regia in ambito professionistico, è andata in giro per il mondo fino ad approdare in Argentina, dove si è avvicinata al teatro comunitario. Tornata in Italia, vive a Torino e si occupa di progetti artistici e culturali nel sociale. Vincitrice di numerosi concorsi letterari, è stata finalista al Premio Calvino 2009 con il romanzo Della vita di Alfredo (Bellavite). Con Piemme ha pubblicato "Se chiedi al vento di restare" (2014) e "Le tre notti dell'abbondanza" (2015)".
“Le Tre Notti dell’Abbondanza” narra la storiadi Fosco che (come si legge nella presentazione del libro) “è un paese arroccato su uno scoglio a picco sul mare. Per arrivare alla spiaggia, bisogna avventurarsi lungo una scala di legno e pietra che nessuno si è mai preso la briga di aggiustare. Perché il mare è maledetto e gli abitanti non lo possono avvicinare. La Calabria di Fosco è una terra aspra dove il tempo scorre lento, dove tutti corrispondono ai propri ruoli e ai propri cognomi e, fin dalla nascita, hanno il loro posto nel mondo. Le regole, dettate dalla malavita locale, sono legge per coloro che lì nascono. Per tutti, ma non per Irene. Irene ha quindici anni e un quaderno arancione sul quale disegna il quotidiano, così come se lo immagina. La notte, sui tetti di Fosco, si incontra con Rocco, il figlio di uno sparato, in uno spazio di complicità e tenerezza che permette di fantasticare un altro mondo possibile. Durante l’annuale pellegrinaggio alla Madonna delicata, Irene e Rocco ascoltano una conversazione tra masculi che cambia per sempre il corso delle loro vite. Le successive tre notti dell’abbondanza segnano un prima e un poi senza ritorno. E se è vero che le donne di Fosco nutrono il sistema e spingono i figli a vendicare, c’è chi prova a cambiare, nella convinzione che la vita si accetta ma non si subisce. Irene farà la sua scelta. La vita, per lei, è una pennellata di colore su un muro bianco”.
Ho letto il libro tutto d’un fiato e devo dire che ho trovato molto significativa la storia di Fosco, il paesino dominato da Totonnu, malavitoso coinvolto nelle le faide tra famiglie, in cui perfino l’accesso al mare viene proibito. Il mare, simbolo di libertà, non ha padrone e non può essere domato. A Fosco nascere “fimmina”, come Irene, o essere “poco masculu” come Angiolino, è una disgrazia. Irene è coraggiosa, ha il coraggio di opporsi e di lottare e dopo la morte di Rocco, si consola dipingendo murales sulle case abbandonate dopo la “mattanza” tra le famiglie che ha costretto la gente ad abbandonare il paese. Pian piano Fosco rinasce, grazie al suo coraggio, a quello di Angiolino e di altri.
Il romanzo evidenzia la capacità di Paola Cereda nel delineare e descrivere personaggi, ambienti , luoghi in cui la criminalità organizzata è fortemente radicata, ma dove il coraggio di alcuni abitanti riesce a generare un positivo cambiamento.
La ricchezza dei contenuti, il risalto che si dà al coraggio delle donne, l’abilità di introspezione psicologica dell’autrice e il suo stile originale, hanno rappresentano senz’altro elementi aggiuntivi, oltre a quelli già menzionati, per l’assegnazione del Premio Pavoncella.
Giovanna D’Arbitrio
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