Agli inizi del 1300, nella Francia di Filippo il Bello scoppia un caso che farà epoca: con una campagna sapientemente orchestrata vengono trascinati in giudizio e messi al rogo i Cavalieri Templari, che dopo due secoli di guerre a difesa dei luoghi santi in Siria-Palestina, sono diventati il più potente ordine religioso e cavalleresco dell'Europa.
La storia narrata nel nuovo libro di Barbara Frale, ‘Crimine di Stato. La diffamazione dei Templari’ (Giunti Editore, pp. 192, euro 10), ruota intorno a grandi figure del Medioevo: Papa Clemente V, costretto a piegarsi ai voleri di un sovrano senza scrupoli, e il Gran Maestro templare Jacques de Molay, travolto dalle false accuse che lo porteranno al patibolo, con gli occhi fissi a Oriente.
Ma anche Guglielmo di Nogaret, il diabolico Guardasigilli del regno e Filippo il Bello, il sovrano che scatena una feroce repressione e materializza il suo sogno: affermare il primato della ‘ragion di stato’, sottraendo immense ricchezze ai Templari.
Il grande protagonista di questa tragica vicenda sta tuttavia oltre gli uomini in carne e ossa: è la diffamazione pubblica usata come arma di lotta politica per un ambizioso disegno di potere. La macchina accusatoria che spazza via l'ordine dei monaci-guerrieri è basata sulla falsa imputazione di eresia e sodomia, mostrando come il Medioevo anticipi le strategie politiche del mondo di oggi.
“Sin da epoche remote – spiega Barbara Frale - la diffamazione è sempre stata un'arma letale per rovinare la gente. In genere la si usa in modo subdolo contro chi non può essere vinto in modo aperto e leale: è l'arma tipica dei vigliacchi. Si lavora nell'ombra per gettare su qualcuno il discredito, costi quel che costi. Chi se ne serve, è sempre gente completamente priva di scrupoli. Così fu con i Templari: godevano troppo buona fama nel mondo del loro tempo, fu necessario un lavoro di anni per gettare su di loro un vero tzunami di fango”.
L’autrice, Ufficiale presso l’Archivio Segreto Vaticano indaga la figura di Filippo il Bello in questa tremenda congiura a danno dei Templari: “politicamente – è l’analisi della storica del Medioevo - sta al centro della macchinazione, la ordina e firma l'atto d'arresto con la sua autorità. Eppure, le fonti ci mostrano che in realtà restò sempre al margine della manovra. La condivideva perché riteneva che fosse indispensabile per salvare la Francia, ma la trattò alla stregua di una triste necessità.
Il vero nemico dei Templari non era lui. Aveva un altro volto: Guglielmo Nogaret. E’ lui l’anima nera del processo ai Cavalieri del Tempio”. Lui a volere il reato di sodomia quale punta di diamante della manovra.Appesantire le colpe dei Templari, scrive Frale, presentandoli come “un branco di perversi sodomiti, era una scelta che mirava senza dubbio a scatenare lo sdegno furente del re”.
Non solo: “Sicuramente – riferisce la studiosa - Nogaret avvelenò l’anima del sovrano con la terribile illazione che i Templari, pervertiti in massa, potessero aver fatto subire ai principini abusi di tipo sessuale. Il re non ebbe scrupoli a sottoscrivere quell’ordinanza che di fatto, nonostante fosse solo l’innesco di un processo destinato a durare ben cinque anni, distrusse l’ordine del Tempio sin dall’inizio”.
La manovra mira all’aquila dei Templari. “In un momento imprecisato, che tuttavia deve porsi necessariamente diversi anni prima l’innesco del processo – spiega Frale - dodici spie furono fatte entrare segretamente all’interno del Tempio. Erano uomini al soldo della cerchia reale, che si comportarono in tutto come gli altri confratelli, salvo che nella fedeltà all’istituzione: provvidero infatti a osservare, annotare e riferire ogni tipo di comportamento che in qualche modo potesse essere ricondotto a un reato contro la fede”.
Ma come è stato possibile che uomini votati alla difesa del Sepolcro e della religione cristiana, paragonati addirittura ai martiri da papa Eugenio III (1145), siano stati trascinati in un processo con gravissime accuse di reati contro la fede? Il saggio di Frale, pagina dopo pagina, indaga come Nogaretli avrebbe trascinati nel fango con l’accusa di commetterereati abominevoli. “Travolto dall’infamia –scrive la medievista- l’ordine cadde vittima di uno scandalo concepito su larga scala e condotto nel lungo periodo”.
Una pianificazione articolata, perché la diffamazione dei Templari cominciò da un rinnegato chiamato Esquieu de Floyran,ex priore di Montfaucon, che cercò invano di vendere la sua testimonianza a re Giacomo II d’Aragona: il sovrano gli prestò udienza, ma non intraprese nessuna azione contro il temuto ordine militare.Floyran ripetéil tentativo con un sovrano molto più potente, quello di Francia, e stavolta ebbe successo. “Il processo ai loro danni –rimarca la studiosa- fu indubbiamente un crimine di Stato”.
Un processo ‘politico’, come ha dimostrato anche un saggio di Michele Raffi, ‘Apologia dei Cavalieri Templari’, edito da Mursia, in cui lo studioso dimostra come per i ‘Pauperes Commilitones’ portati alla sbarra furono stravolte anche le procedure sancite dal diritto canonico dell’epoca. Il 13 ottobre 1307 non lasciò segni vistosinei registri della Cancelleria di Francia, ma le cronache al contrario lo ricordano per un eventomemorabile: poco prima che facesse giorno, in tutto ilterritorio del regno, un nutrito drappello di soldati realifece irruzione in ciascuna delle precettorie del Tempioper mettere in stato di fermo i Templari presenti.
Il blitz scattò all’improvviso, e colpì nel segno spiazzando i frati combattenti. “Era la conseguenza –annota l’autrice- di una manovra preparata da tempo: un ordine regio, diramato in segreto con un mesed’anticipo, prevedeva che si accertasse il numero di frati guerrieri residenti in ciascuna precettoria. Questo perché, quando la cattura fosse scattata, piombassero in ciascuna sede un numero tale di uomini armati che i Templari presenti non potessero opporre resistenza”.
L’ordine d’arresto era stato firmato nell’abbazia di Maubuisson, presso Pontoise, il 14 settembre 1307. Ma l’ordinanza d’arresto, svela la studiosa, “era un documento doppio, cioè conteneva una prima parte scritta in latino, in stile aulico e letterario, e una seconda scritta in francese, molto più semplice e diretta, che possiamo paragonare a una circolare odierna diramata nelle forze dell’ordine”.
Nogaret diede l'annuncio del provvedimento a carico dei Templari due giorni dopo il loro arresto. Lo fece quando c’erra gente, a sentirlo. E nella piazza antistante la cattedrale di Notre-Dame. Ironia della sorte, al Giuda dei Templari non venne molto dall’accendere la macchina del fango: “Guillaume Nogaret non si arricchì mai, in tutto il tempo che lavorò alle sue complesse macchinazioni, e l’unica cosa rilevante che ottenne da Filippo IV fu il titolo di ‘miles’ (cavaliere) con il quale la sua persona e la famiglia salivano un importante gradino sociale”.
“A distanza di tanto tempo –rimarca Frale- l’atto d’arresto contro i Templari appare come un vero spartiacque nella storia dell’Europa: in seguito, sarebbe emerso ciò che noi definiamo lo Stato laico, il quale rivendica la propria indipendenza dal controllo della Chiesa”.
La strategia ai danni dei Templari “era stata preparata segretamente dagli avvocati della Corona francese con un lavoro addirittura annoso, pianificata e portata avanti con costanza, compiendo un passo alla volta”. In secondo luogo, l’obiettivo prioritario del Nogaret “non era scioccare il pontefice rivelandole nefandezze dei Templari, bensì impressionare l’opinione pubblica, il vero ‘zoccolo duro’ del prestigio sociale di cui godeva il Tempio”.
L’Ordine dei Templari, sottolinea il saggio della Frale, “aveva la sua più grande ricchezza nella reputazione di ferro di cui godeva in Europa. Era il favore popolare, il suo massimo punto di forza”. Quando scattò l’arresto, “le colpe, qualunque fossero, dovevano obbligatoriamente apparireconnesse all’eresia, l’unico crimine per il quale l’Ordine poteva esser messo sotto processo”.
L’eresia era infatti un tipo di reato per il quale si prevedeva in modo automatico la confisca dei beni, e in ciò il caso dei Templari, non costituiva un’eccezione. Anche l’Inquisizione, o come si diceva a quel tempo il Tribunale per l’Eretica Pravità, si rivelò una pedina sulla scacchiera francese. Come dimostra la storia di Guillaume Imbert, e la leggerezza con cui permise l’arresto dei Templari.
La sete di denaro e di ‘metalli’ della Corona d’oltralpe non fu l’unica pietra d’inciampo posta sul cammino dei monaci che cavalcavano in due sullo stesso destriero. Infatti, annota Frale, “l’inimicizia personale tra il Gran Maestro e Filippo il Bello inquinò i loro rapporti in modo irrimediabile, stroncando le possibilità di intesa che avrebbero favorito l’insorgere di un accordo fra loro, per salvare la Francia dal disastro della bancarotta senza innescare il processo ai danni dell’Ordine”.
L’importo del ‘prestito’ preteso dal sovrano -ed elargito dal Tesoriere dell’Ordine senza il placet del Gran Maestro- 400.000 fiorini d’oro,doveva servire a sanare le emergenze più immediate e “forse anche a pagare all’Inghilterra almeno un acconto della dote dovuta per la principessa Isabella, in vista di quelle nozze provvidenziali capaci di chiudere il lungo conflitto franco-inglese”.
In ogni caso, quanto Filippo il Bello aveva preso era una cifra enorme, che corrispondeva al gettito annuo di affari di una potenza commerciale com’era ad esempio la Repubblica marinara di Pisa. Frale rivela anche che Filippo il Bello si sarebbe recato nella stanza del Tempio dove Jacques de Molay era detenuto in condizioni di arresti domiciliari, per conferire con lui: “Furono incontri burrascosi, durante i quali sarebbero volate parole enormi. Il Gran Maestro non si fece adescare dalle profferte reali”.
“Quello che fa veramente impressione, persino allo storico abituato a frugare tra le meschinità dell’animo umano, è trovare fra questi delatori un personaggio adir poco illustre: colui che tradì il Tempio in modo più grave di ogni altro, e lo denunciò all’autorità ecclesiastica più alta che si potesse trovare”. Poco dopo l’incidente che aveva coinvolto il Tesoriere Jean de La Tour, il Visitatore di Francia frate Hugues de Payraud si recò in udienza privata presso Clemente V; in un colloquio strettamente riservato, Payraud confermò al pontefice la verità delle accuse che il re di Francia da un po’ di tempo stava divulgando a carico dei Templari.
L’atto d’arresto accusava i Templari di seguire un vero e proprio credo anticristiano comprendente anche la pratica dell’omosessualità indiscriminata, ein sovrappiù la venerazione di un idolo che aveva la forma di una testa maschile con la barba; inoltre, si argomentava che i cappellani dell’ordine non usassero consacrare l’Eucarestia.
Più tardi, “quando nell’estate del 1308 Clemente V potrà finalmente interrogare di persona almeno una selezione di Templari, sentirà dire da loro che questi gesti indecenti (rinnegamento a parole di Gesù, sputo verso la croce, bacio sul posteriore dei precettori anziani), erano ‘un’usanza del nostro ordine’ (‘ususordinis nostri’), ovvero una specie di tradizione goliardica”.
Clemente V si convinse che esisteva nell’ordine del Tempio una specie di cerimoniale segreto d’ingresso "che aveva un carattere indegno per uomini legati da voti religiosi,una tradizione da caserma inveterata, ma senza i veri caratteri di un credo eretico". Sono gli stessi Templari a rivelare che si trattava di una prova mirata a verificare la tempra del novizio, la sua capacità di sopportare l’obbedienza totale che l’Ordine prevedeva. In ogni caso, "qualunque forma di violenza il nuovo Templare avesse subito dai suoi confratelli, era praticamente nulla in confronto a ciò che gli sarebbe accaduto una volta sconfitto dal nemico saraceno".
Quel rito pieno di gesti indecenti, i cosiddetti ‘inconvenienti’, “non affermavano che la sodomia fosse pratica nel Tempio in modo massivo, quasi a titolo di obbligo”. Frale sgombra quindi il campo da un equivoco che da un’ombra che ha accompagnato i Templari fino ai nostri giorni: “Vale la pena di specificare che su un migliaio di deposizioni pervenute sino ai giorni nostri, soltanto sei frati ammisero di aver intrattenuto con i confratelli rapporti di carattere omosessuale”. E non perché questo fosse codificato in una Regola o in una pratica dell’Ordine che difese le mura di Acri.
Falsa anche la lettera, con il sigillo d’argento, che il Gran Maestro avrebbe scritto ai Templari reclusi, per ordinare loro di confessare i propri ‘misfatti’. In realtà, come si incarica di dimostrare la storica del Medioevo, la lettera non sarebbe neanche servita perché “fra iTemplari detenuti circolarono piccole tavolette di legno cosparse di cera, lo strumento che i notai usavano per prendere appunti graffiando quello strato bianco con una punta di ferro. C’era scritto l’ordine di non fare alcuna confessione, e di non dare credito a nessuna proposta che venisse offerta loro dalla parte reale, perché si trattava di un vergognoso tranello”.
Il saggio della Frale smonta anche un’altra falsa credenza: “L’idea popolare che il Papa abbia scomunicato i Templari è falsa, un errore grossolano dovuto all’ignoranza di molti dilettanti che scrivono sull’ordine del Tempio lavorando di fantasia, anziché esaminare le fonti storiche”.
In realtà Clemente V, Papa guascone, fece di tutto per salvare i poveri Cavalieri caduti in disgrazia in una notte di tradimento: “il giudizio sui capi templari era stato riservato a lui, e lui li aveva assolti. L’Ordine veniva sospeso,ovvero abolito con un provvedimento amministrativo (‘provisio’) dettato dalla necessità di tutelare il superiore interesse della Chiesa. Senza condanna né proscioglimento, soltanto una chiusura”.
Il documento che contiene queste formule presenta “un’ambiguità unica, nella storia della società medievale”, ma è solo una serranda calata nella storia centenaria dei Cavalieri che proteggevano i pellegrini nel loro pellegrinaggio verso la Gerusalemme del cuore. “È rilevante –fa notare la studiosa dell’Archivio segreto vaticano- il fatto che i giuristi reali non puntano sui demoni e sulle streghe per distruggere l’immagine pubblica del Gran Maestro; piuttosto lo si accuserà di aver approfittato sessualmente di un giovane confratello al suo servizio”.
I Templari erano dunque omosessuali? “Dal processo –chiarisce Frale- emerse il contrario: solo una ridottissima minoranza difrati ammise apertamente di aver avuto simili relazioni.E comunque, ormai non era più importante. Quelle accuse caddero presto in secondo piano, scadute d’importanza agli occhi dell’interesse collettivo. La strategia d’attacco smise di calcare la mano su quel punto non appena raggiunse il suo obiettivo: suscitare nelle persone comuni una veemente disistima verso i Templari, ormai visti come gente ignobile dedita a pratiche oscene”.
Ottenuto quanto si voleva, i crimini sessuali furono eclissati perché si riteneva opportuno battere altri tasti più proficui. E, cosa forse più vistosa fra tutte, “nell’inchiesta del Meridione non ci sono omosessuali. Nessuno confessa di aver commesso peccati contro natura, e tale fatto non viene neppure domandato agli imputati,come se in fondo non fosse un elemento di rilievo”.
Il 18 marzo 1314, il Gran Maestro Molay e il confratello Geoffrey de Charny venivano condannati al rogo su un’isola della Senna, per un ordine impartito dal sovrano e dal suo Consiglio. “Jacques de Molay –annota Frale- fu vittima di quello che anche i contemporanei come Dante Alighieri giudicarono un crimine di Stato; benché il Papa lo avesse riservato alla sua tutela e giurisdizione, il Gran Maestro fu condannato a morte all’insaputa del pontefice, che giaceva a letto consumato dalla malattia, e sarebbe morto circa un mese dopo”.
Salvatore Balasco
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