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15/11/24 ore

La narrativa di Turi Vasile



Quaderni Radicali 108, in uscita in questi giorni, oltre al Primo piano sulla gravità delle patologie della “questione giustizia” in Italia, offre ampio spazio ad altri temi di. Fra questi, l’interessante ricostruzione delle pagine di narrativa di Turi Vasile.

 


 

 di Luciella Failla

 

PAURA DEL VENTO

 

 

 

Le pagine narrative di Turi Vasile rientrano pienamente nel dominio della letteratura autobiografica: ricordi del passato, soprattutto dell’infanzia, di quell’epoca in cui si forgia il carattere di un individuo, a maggior ragione se questo poi diventerà un artista, di persone che hanno attraversato, lasciandone il segno, la sua esistenza, ricordi della famiglia tanto amata, della sua terra natìa, la Sicilia, lasciata giovanissimo ma mai dimenticata, anzi protagonista assoluta e mito indiscusso.

 

In un’intervista video realizzata a Catania nell’Agosto del 2010 la professoressa Sarah Muscarà Zappulla, parlando di Turi Vasile narratore, afferma:

 

«Nella storia della sua avventura esistenziale, umana e artistica una tappa fondamentale è costituita dal rifugio nelle memorie della propria infanzia, assorbite negli anni verdi e poi rivissute attraverso i reconditi filtri della fantasia, quasi reminiscenze ancestrali. Fissata nella retina del proprio occhio e nella plaga del proprio cuore quella vasta area della Sicilia che da Lentini, patria del padre, oltre che quella di Gorgia e Jacopo, cioè della filosofia del razionalismo e della poesia, corre via via fino a Belpasso, paese della madre ma anche di Martoglio, fino a Messina dove Turi è nato, a Capo d’Orlando dove ha trascorso gli anni fondamentali per la conquista della propria personalità, da qui Vasile trae non solo la liricità che percorre la sua scrittura ma anche il suo impegno di intellettuale e la drammaticità che la innerva.

 

Anche la sua scrittura documenta l’amore per la sua lingua, quel dialetto siciliano che è fondamentalmente una lingua, una scrittura piana, quasi parlata, semplice, che ha però quella ricchezza di questo patrimonio che è la cultura classica e insieme il sostrato, l’humus dialettale. La sua opera è infatti percorsa di termini del nostro dialetto che lui definisce intraducibili.

 

Se volessimo definire con un solo termine quasi un fil rouge che percorre tutta la sua opera non soltanto narrativa, potremmo usare il termine memoria: l’importanza della memoria della propria infanzia, odori, colori, sapori che proustianamente ci restituiscono un passato ma anche un presente, una memoria culturale, delle nostre tradizioni, del nostro folklore, della nostra antropologia, della nostra forte cultura. Solo chi ha memoria del proprio passato sia storico che culturale ha anche diritto a un presente e soprattutto a un futuro.

 

Una Sicilia che diventa con Vasile topos sacro, speculum mundi, l’ombelico del mondo, metafora dell’universo: credo che sia questa la grande lezione del Maestro, ovvero questo amore profondo per la sua terra, per le sue radici geografiche, storiche e sociali ma soprattutto culturali».

 

La prima prova narrativa è Paura del vento, del 1987, edita da Sellerio, in cui i racconti nascono dal filo rosso della confessione autobiografica e si inseriscono in un più vasto disegno narrativo organico che ricorda la coscienza di bambino dello scrittore, che pian piano scopre il mondo attorno a sé, in quella Sicilia arcaica da lui tanto amata.

 

«All’età di sei anni mi capitò di abitare, insieme con la mia famiglia, un semaforo solitario posto sulla cima di Capo d’Orlando, in faccia alle Eolie»: comincia così, con questo tono vagamente favolistico, il suo esordio da narratore, ripercorrendo con la memoria la sua infanzia isolana, caratterizzata da continui spostamenti per via del lavoro del padre, sottufficiale della Marina. Proprio la Sicilia è qui la protagonista, associata ai bei ricordi di bambino, forse un po’ idealizzati o resi più dolci proprio dalla lontananza e dalla nostalgia provate nel rimembrarli ora, da adulto.

 

In un articolo apparso sul «Corriere della sera» nel Luglio 1998, Raffaele La Capria così recensisce il libro:

 

«Sono racconti di un’infanzia, ma anche un piccolo romanzo di formazione che si svolge in una Sicilia antica, anzi arcaica, di cui oggi rimane il ricordo solo tra i superstiti di una generazione al tramonto. In questo libro i buoni sentimenti sono racchiusi nella ristretta cerchia degli affetti familiari dove, come benevoli numi tutelari, spiccano le figure del padre, della madre, di sorelle, zii, nonni, tutti visti dagli occhi di un bambino molto sensibile, attento a ogni segno che la vita, in forma misteriosa, gli manda. Ma quanta dolcezza emana da questo piccolo nucleo familiare, costretto a spostarsi da un punto all’altro del Paese perché il padre è un sottufficiale di Marina addetto alla sorveglianza dei fari».

 

E proprio in un faro, durante una tempesta di notte, l’urlo del vento porta al piccolo protagonista la paura. Ecco come Vasile descrive quel momento rimasto indelebile nella sua mente: «Era un guaito, il lamento di una creatura sofferente […] Un improvviso languore allo stomaco e un sudore freddo che mi inumidì subito la pelle furono i segni della paura fisica che si era impossessata di me. Lontano, sul mare, si accese -o almeno così mi parve -un bagliore d’incendio, un fuoco nel cielo che avvampò le nuvole. E la voce riprese, lamentosa, sommessa; esprimeva una tristezza che nessun essere umano sarà mai capace di eguagliare; sembrava che venisse dalle viscere della terra».

 

A nulla valgono le parole del padre che lo esorta ad aver coraggio. Quella prima esperienza lo segnerà…

 

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