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16/11/24 ore

“Gli All-Star di Mosè”, coast-to-coast nell'America della Grande Depressione



Fine anni '30 del secolo scorso, una squadra di basket quasi improvvisata parte da New York per raggiungere Los Angeles. Sono sette ragazzi in età compresa fra i 18 e i 32 anni, un po' sbandati, cresciuti per strada, alcuni dei quali rimasti orfani molto presto, uno ha problemi con la giustizia per piccoli reati, un altro con una banda di scommettitori e malavitosi, un altro con la ex moglie e la famiglia di lei. Quasi tutti, insomma, desiderosi di sfuggire da se stessi, dal proprio ambiente, o da una vita che vorrebbero in qualche modo cancellare. 

 

“Gli All-Star di Mosè” di Charley Rosen, pubblicato in italiano dalla Casa Editrice 66th and 2nd nella collana Attese, è il racconto di un viaggio coast-to-coast di questo gruppetto che parte all'avventura su un carro funebre rimesso in sesto per l'occasione e che oltre, quindi, a trasportarli, avrà anche in parte la funzione di camper.

 

Un viaggio nell'America della Grande Depressione, ma anche interiore (come tutti i romanzi “on the road” che si rispettino) di poco più di due settimane, durante il quale i sette giovani giocheranno numerose partite, ogni volta in un posto nuovo, ogni volta affrontando una squadra avversaria diversa, sia per livello sportivo, sia per estrazione sociale o economica, i cui componenti sono sempre in qualche modo rappresentativi di uno dei tanti gruppi facenti parte della varietà e complessità umana tipica degli Stati Uniti, incontrando non poche difficoltà, ma mossi sempre dalla speranza di arrivare alla meta finale e riuscire a racimolare denaro sufficiente per poter realizzare i propri sogni o mettere in pratica i propri ideali.

 

Una sorta di “diario di bordo” raccontato, come si può facilmente immaginare, con un linguaggio molto colorito, dove non mancano episodi cruenti e atteggiamenti profondamente razzisti, ma anche generosi gesti di solidarietà e profonde riflessioni sull'esistenza e sulle relazioni umane (una scena, in particolare, ricorda una delle più belle del film “Scusi dov'è il west” di Robert Aldrich).

 

Un libro pieno di suspences che stimolano la curiosità del lettore a proseguire senza staccarsene, con belle descrizioni geografiche, psicologiche e tecnico-sportive. Leggendo un simile romanzo, tuttavia, sorge il dubbio di quale impatto possa avere sul lettore medio italiano, che in genere, è digiuno di culture diverse dalla propria.

 

Poiché il racconto presenta alcune inesattezze, esagerazioni o caratterizzazioni particolari che, se lette in maniera superficiale potrebbero sembrare tipiche di tutta una cultura, ma che in realtà fanno parte soltanto dei protagonisti di questo libro.

 

di Elena Lattes


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