Il mistero di un bacio e la lotta per una visione del mondo. Le parole della rivoluzione zelota contro quelle dell’amore. La fine di Guida Iscariota, il ‘Traditore’ segna l’epilogo di una storia e l’inizio di una comprensione che non avrà mai fine. A indagarne il mistero è un saggio di Gerardo Picardo, ‘Parola di Giuda. Il tradimento dell'Iscariota e il mistero del campo di sangue' (prefazione di Pierfranco Bruni, edizioni Thiperet).
Lo studio esegetico e filosofico mostra la corresponsabilità dei sommi sacerdoti e degli anziani nel tracciare la via della disperazione per l’oscuro uomo di Kariot che fu vicino al Cristo.
Non sapremo forse mai il vero motivo del suicidio di Giuda. Forse intendeva affrettare il processo di liberazione, ponendo il Rabbì di Nazareth in aperto dissidio col potere. O forse per lui le parole del Nazareno erano inattuabili. Resta certo, nella Scrittura, il suo drammatico pentimento, sottolineato dal gesto di disprezzo del denaro e del tempio, come permane, fredda e incurante, la reazione dei sinedriti che non recuperano, come doveva essere loro proprio, un uomo avvolto dalla notte profonda del dubbio, tentato da se stesso e da Satana, fasciato dal suo modo di vedere e sentire il Dio che gli sedeva accanto.
Nei racconti evangelici di Marco e Matteo, Giuda è il simbolo del male. Ma né Matteo, né Marco, né Luca erano lì in quei giorni. Forse veramente l’uomo di Kariot non voleva tradire e vendere il suo Maestro. Pochi versi racchiudono un dramma e un enigma. Se non si può dire che era indispensabile il suo tradimento nell’economia della Croce, non si può neanche negargli quello che gli è proprio, la forza di quel dolore disperato, tanto diverso da quello del suo Gesù, anch’egli abbandonato sulla Croce da Dio nel dramma dell’ora nona, eppure salvifico.
Picardo fa parlare le fonti, i Codici e le narrazioni apocrife. Ne esce un ritratto nuovo di Giuda. Mentre Matteo dice che il campo fu acquistato dai sinedriti con le trenta monete per le quali fu venduto Cristo, negli Atti invece si attesta che il campo fu acquistato da Giuda. Secondo Matteo, la morte di Giuda avvenne per impiccagione, mentre nella descrizione degli Atti si presenta una fine spettacolare. Un’altra difficoltà proviene dalle relazioni non chiare che uniscono Giuda al «campo di sangue».
Per Matteo si chiamò in quel modo perché fu acquistato con il denaro pattuito per il sangue di Gesù. Negli Atti, al contrario, il terreno si chiama ‘campo del sangue’ per essere stato lo scenario della fine del traditore. C’è un pensiero bello e commovente che ricorre nei Padri della Chiesa e nei dottori quando commentano il tradimento di Giuda: se l’apostolo fosse tornato da Gesù a chiedere perdono, oggi sarebbe sugli altari, venerato come “l’apostolo della misericordia”. Ma Giuda non torna. Satana gli mostra l’enormità del suo misfatto.
L’Iscariota tenta di redimersi restituendo ai sinedriti le monete d’argento e ad accusarsi di fronte a loro di ‘aver tradito sangue innocente’ (Mt 27,4). A questo punto l’Iscariota si scontra con il muro della incomprensione dei sacerdoti: ‘Che ci importa? veditela tu’. Butta le monete nel Tempio, e corre ad impiccarsi. Lega la corda ad un albero che sta fuori Gerusalemme e si lancia nel vuoto. Lo strappo è forte e il corpo precipita e si squarcia nella valle sottostante (At 1,16-19).
Il suo peccato fu la disperazione. E il non aver incontrato, come Pietro, gli occhi del Nazareno a dirgli che un altro inizio e’ sempre possibile. Il campo di sangue, fuori delle mura di Gerusalemme, rimase l’unico spettatore della disperata lotta di un uomo contro lo sconforto immane di essere parte del complotto contro il Cristo.
Lì, a sud-est, nella valle della Geenna, dove gli ebrei trovavano argilla e, vicino, l’acqua della fontana di Roghel, per la fabbricazione dei vasi, abita la verità della sua morte e, con essa, il senso della vita di Giuda. In quel campo, per strana ironia o esecranda memoria, nessuno ha mai voluto costruire nulla.
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