Napoli resta nella memoria di chi, anche fuggevolmente, l'ha conosciuta come una vorticosa stella.
RINO MELE
Quando la preda assale
Napoli ha sempre conosciuto
il dolore
d’essere violata, quel vortice
che non smette
e assale,
gli eserciti aspri
che della sua bellezza
hanno fatto strame. I baroni,
i falsi signori
cui rubare con arguzia il riso.
Napoli è stata il teatro degli dei
ingannati dagli uomini,
le donne
complici, vestite da regine.
Il circo del Vesuvio: acrobati
vestiti di bianco
e la maschera nera dal forte naso,
il servo che somiglia al re
e immagina
di essere lui a portare
l’orrore del potere,
e la pena. Napoli è una città
speculare: tutto
a tutto è uguale,
quello che vi accade si riflette
nel cielo,
niente è vero per sé, anche
il dolore col suo nascosto
splendore:
a fine settembre del 1943
per 4 giornate
la città divenne fuoco
e gloria,
aveva subìto l’ignominia
del fascismo, poi
l’attacco feroce degli Alleati,
i Tedeschi ora la struggevano come
una preda senza valore.
L’esercito italiano era
la neve scomparsa d'estate,
in un gran caldo.
Il 27 settembre, come un corpo
d’aria,
Napoli capì quanto fosse vano
vivere
senza la propria ombra, con l’anima
da rivendicare,
e cominciò a sparare coi pochi fucili
conservati, nascosti, tenuti
da parte nello strazio
di un’inutile
guerra che non era finita.
Quattro giorni
come la preda quando assale:
le pietre
sembrarono avere le mani, ostruivano
le strade, gridavano
la fine dell’oltraggio. I Tedeschi
capirono che non si può vincere
un popolo che è già morto
molte volte,
e conosce la gloria di gridare
lo sdegno e l’ira,
gettarsi
nel più cupo sprofondo,
trasformarsi in tempesta di mare.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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