In questi giorni di luglio aspro e caldissimo, mentre i nostri amici partono su stanche automobili, per andare a gettarsi nudi su spiagge assolate, contenti di nuovi tormenti, abbiamo la sensazione che il linguaggio sembri ritrarsi in se stesso, come un rimprovero: una metafisica linea che nasconda la nostra bocca e ne liberi il silenzio.
Rino Mele
Le cose che la notte cancella
Se un giorno cadessimo nel contrario
del linguaggio,
coi suoni diventati calce
tra le mani,
a chiedere pietà a noi stessi,
senza più la pretesa di dare alle parole
un valore
estremo di conoscenza,
tanto esse somigliano al silenzio,
alle smorfie mute dei pesci
in un grande acquario:
come nel sogno
quando senti la tua voce, ma come
parlasse un altro,
e non sai se stai uscendo dalla stanza
di cui apri la porta,
ed è una casa senza finestre,
mentre il volto
amato di una donna mai dimenticata
- ombra e cenere -
nasconde il musicale tempo
del suo dolore.
Senti ancora la sua voce tornare indietro
come un’eco,
fuggire verso di te e, scomparendo,
venirti incontro:
un immobile silenzio grida l’aspra
attesa. La notte
cancella
le cose con gli occhi arguti della fine.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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