È un gioco mortale quello che si combatte intorno alla città ucraina di Bakhmut, nel Donbass. Da dieci mesi è straziata dall’estrema violenza della guerra. Ora la Russia, e per essa il Gruppo Wagner, l’hanno completamente distrutta, non esiste più. I Russi hanno vinto, ma perso 70000 soldati.
Ora, i conquistatori di quello spazio morto non potranno facilmente uscirne, accerchiati dalle forze dell’esercito ucraino che, sulle colline intorno a Bakhmut, aspettano di compiere la mattanza di coloro che hanno violato e distrutto la città.
Su quel vuoto, su quella concreta polvere, i Russi hanno messo la loro tricolore bandiera. Ora aspettano di essere uccisi. Questo soltanto è fare la guerra: conquistare il niente.
RINO MELE
Dissezione di una città
Una città ucraina è Bakhmut come
una mano, le tagliano le dita,
ammutita.
Distrutta nello strazio.
A Bakhmut
non ci sono più nemmeno le ombre,
l’aria è acida e nera,
bruciata,
e chi l’ha conquistata non può uscirne
ma solo, al suo interno,
scavare la strada dove i morti tornano
affranti, senza respiro:
continuano i morti
a essere uccisi da lame che tagliano
l’aria,
non trovano pace, la pelle ingiallita
che si disfa: sporchi
nel catrame del sangue.
Bakhmut
è diventata un gorgo di pazzia,
come nel gioco
degli scacchi ripetere la stessa mossa
contro cui continui
a urtare: l’alfiere
si sposta di una casella, mangia se stesso,
nell’astratta ripetizione del male.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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