Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

19/11/24 ore

POESÌ di Rino Mele. Il racconto della guerra



Siamo sempre più lontani dalla guerra, ora che ci siamo convinti che a morire non saremo noi. Quando sulle prime pagine dei nostri giornali il conflitto in cui l'Ucraina è devastata non trova spazio, non appare, facciamo finta che sia naturale e ci tuffiamo nella cronaca (a volte non meno terrificante). La guerra è un mostro, se si nasconde è il suo nascondiglio che diventa mostruoso.

 

                     

 

RINO MELE

 

 

IL RACCONTO DELLA GUERRA

 

La guerra è l’orrore che indossa una divisa, 

l’attesa di dare la morte, togliere 

il respiro, spezzare la vita.

Come se la frase “il leone sbrana la zebra” 

diventasse cespugli 

e sabbia mentre la zebra corre

obliqua nel vento

per sottrarsi al ruggito che divora.

La guerra 

non è il racconto della guerra, 

il pensiero di essa, ma il trovarsi nel sangue 

incapaci di pensare,

legati

nel parlare di fronte, a scambiarsi 

la morte 

come il pane da mangiare.

La guerra 

non è parlare della guerra.

Corriamo in un lungo corridoio senza finestre, 

ci volgiamo indietro più volte

fino a trovarci al contrario, a sbattere 

nel muro da cui siamo partiti:

non sappiamo 

come siamo entrati, ogni parete è la fine di tutto,

visto che non c'è inizio. 

Ci fosse almeno un piccolo specchio, potremmo 

aspettare 

da noi stessi una risposta, o supplicare 

quel volto che è nostro

perché ci parli, c'inganni 

(i verbi corrono a diruparsi, gli avverbi 

li trattengono, e i nomi - astratti 

nella loro forza - appaiono come concreti fantasmi

nell'aspra nebbia).

Parliamo fingendo d'aver pensato. 

Chi comanda d'uccidere?

Nessuno risponde. Se la luce di queste lampade,

ferme nei rigidi fili dal soffitto

di questo corridoio, dovesse venir meno 

saremmo al buio,

inciampando nel terrore di chi ci uccida.

La guerra 

non si può raccontare. Come un gioco, chi muore

resta per terra

a braccia spalancate, Melitopol, 

Bakhmut, Mariupol, per le strade senti 

bambini piangere nascosti dalla bocca della madre.

Un segnale fischia

lontano, un'improvvisa luce 

strazia, la notte speri che non torni il mattino.

 

 

_________________________________  

  

 

Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 

 

 

Leggi l'intera sequenza di POESÌ