Siamo sempre più lontani dalla guerra, ora che ci siamo convinti che a morire non saremo noi. Quando sulle prime pagine dei nostri giornali il conflitto in cui l'Ucraina è devastata non trova spazio, non appare, facciamo finta che sia naturale e ci tuffiamo nella cronaca (a volte non meno terrificante). La guerra è un mostro, se si nasconde è il suo nascondiglio che diventa mostruoso.
RINO MELE
IL RACCONTO DELLA GUERRA
La guerra è l’orrore che indossa una divisa,
l’attesa di dare la morte, togliere
il respiro, spezzare la vita.
Come se la frase “il leone sbrana la zebra”
diventasse cespugli
e sabbia mentre la zebra corre
obliqua nel vento
per sottrarsi al ruggito che divora.
La guerra
non è il racconto della guerra,
il pensiero di essa, ma il trovarsi nel sangue
incapaci di pensare,
legati
nel parlare di fronte, a scambiarsi
la morte
come il pane da mangiare.
La guerra
non è parlare della guerra.
Corriamo in un lungo corridoio senza finestre,
ci volgiamo indietro più volte
fino a trovarci al contrario, a sbattere
nel muro da cui siamo partiti:
non sappiamo
come siamo entrati, ogni parete è la fine di tutto,
visto che non c'è inizio.
Ci fosse almeno un piccolo specchio, potremmo
aspettare
da noi stessi una risposta, o supplicare
quel volto che è nostro
perché ci parli, c'inganni
(i verbi corrono a diruparsi, gli avverbi
li trattengono, e i nomi - astratti
nella loro forza - appaiono come concreti fantasmi
nell'aspra nebbia).
Parliamo fingendo d'aver pensato.
Chi comanda d'uccidere?
Nessuno risponde. Se la luce di queste lampade,
ferme nei rigidi fili dal soffitto
di questo corridoio, dovesse venir meno
saremmo al buio,
inciampando nel terrore di chi ci uccida.
La guerra
non si può raccontare. Come un gioco, chi muore
resta per terra
a braccia spalancate, Melitopol,
Bakhmut, Mariupol, per le strade senti
bambini piangere nascosti dalla bocca della madre.
Un segnale fischia
lontano, un'improvvisa luce
strazia, la notte speri che non torni il mattino.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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