Quarantadue versi per dire cos'è Natale. Una tempesta che a un tratto si fermi, sospesa sul mare: lontano, una nave che non può tornare.
Alla radice di tutti i nostri perché, è la nascita. La rimozione di quell'insopportabile dolore.
RINO MELE
Luce e dolore di nascere
Ma può un dio nascere?
Gridare l'orrore
di uscir fuori
da un corpo, piangerne,
godere
dei singulti del pianto?
Nel freddo
della notte i lupi
precipitano il vento, le pecore
divorate,
rimaste con le zampe
in aria: gli agnelli
in attesa della croce.
Con le mani
storte per l'artrosi,
i pastori
contano il numero
esiguo del gregge. Accanto
a Gesù,
la madre sembra di neve,
in una luce irreale
Giuseppe scompare.
I soldati sentono il peso
delle spade,
le alzano come vanghe
a smuovere
corpi senza respiro:
insieme ai cani,
i pastori
si sottraggono al gregge,
volano nei morsi
della luna. L'anima del mondo
ha una voce, un respiro,
le piccole braccia
di un bambino
circondano un'interminabile
pena.
Quando le tenere
mani preme
nella creta, piccoli colorati
uccelli
svolano tra le dita.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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