Che il poeta sia un Adamo e metta i nomi - mai uditi - alle cose lo dice Giovanni Pascoli nel XIV capitolo di "Il fanciullino", 1903. Rifacendosi alla Genesi, "Appellavitque Adam nominibus suis cuncta animalia et universa volatiliia caeli et omnes bestias terrae".
Così, il poeta inizia ogni volta il mondo, e non riesce ad andare oltre quell'inizio, in un eterno disperato ricominciare. La critica s'è lasciata catturare dall'enigmatica costruzione simbolica: "l'ipotesi più ricorrente associa l'uovo all'incarnazione di Cristo".
Ho citato anche, di Giovanni Pascoli, "Pensieri e cose varie" a cura di Renato Aymone e Aida Apostolico, Edisud e Forum Italicum Publishing 2011.
RINO MELE
Adamo che per primo mette i nomi
Nell’orto la gallina raspa col becco, le zampe ostinate
a sterrare, strappare, cercare altra terra
da scavare, è un’umile beghina del pollaio, versatile ancella
del nulla, crea
sempre uguale l’oggetto perfetto, metafisico, che nella dolce
curva della simmetria
non smette di meravigliare. Scrive Pascoli, nei “Pensieri”:
“Quando hanno fatto un uovo, e una cantata,
hanno fatto la giornata”, ridendone con adolescenziale
grazia. E la poesia?
Lui aveva detto che le parole devono essere
sempre nuove, non udite prima, non partecipi dello scambio
della voce, l'obliqua fatica del dialogo che consuma
e addolora: il poeta è un “Adamo che per primo mette i nomi”.
E, come il perfetto uovo della nostra gallina, la poesia
sembra contenga l’universo, non ha porte,
vorresti entrare salvandoti in quel labirinto rovesciato ma resti
sempre a girargli intorno.
Pier della Francesca nel 1474 ritrae
a tempera su una tavola questa concreta astrazione: c’è
una Madonna con sei santi e quattro
angeli e dalla conchiglia absidale, come da un ventoso
mare, scende un filo bianco che regge un uovo: è l’esplosione
di un’idea, la tempesta ferma, il segno
della dolcezza feroce di Cristo incarnato. La Madonna
sulle gambe regge un bambino disteso,
addormentato, non lo tocca, ha le mani in preghiera.
Come non pensare a nostra madre
quando dal suo fragile corpo ci ha strappati
con le sue dita d’aria, condannandoci alla paura di morire?
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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