l delirio della guerra (delle guerre) distrugge la ragione. Prevale l'anamorfosi, la deformazione della parola, delle figure, non più riconoscibili. Il dolore progressivamente non ha più suono e disturba sempre meno chi ne è lontano. Sembra quasi che la guerra lentamente si cancelli da sé, e scompaia dal suo tragico orizzonte.
Intanto, in un'intervista riportata dalla Tass, il vicepresidente del Consiglio di Sicurezza russo, Dmitry Medvedev ha appena detto: "Qualsiasi tentativo d'invadere la Crimea equivarrebbe a una dichiarazione di guerra contro la Russia. Se uno stato membro della Nato facesse una tale mossa, porterebbe a un conflitto contro l'intera Alleanza dell'Atlantico del Nord: alla Terza guerra mondiale".
RINO MELE
Sono stanchi d’essere morti
Li dimentichiamo
già prima che muoiano, come non fossero nati.
Ce ne liberiamo piangendo.
La guerra è un duello, un’orrida
sfida, la prova di un simulato suicidio della specie
che divora se stessa, mangia la propria bocca, si strappa
coi denti le labbra, avvelena
il respiro: è un progetto di predazione del corpo
dei vinti: l’ebbrezza
del sangue, la sottomissione di un popolo perché perda
il suo volto: chi è sconfitto
diventa schiavo, entra nel godimento
del vincitore. I rituali funebri, i roghi, il pianto,
i processionali canti, le grida ripetute
a implorare l’impossibile ritorno, sono solo un irrilevante
compenso per la colpa
di questa continua uccisione,
l’inarrestabile pulsione a fare il male,
appestati nel non saper vedere chi passa in silenzio accanto
e muore di fame. Se un terzo conflitto universale
dovesse portare a un attacco atomico, sarebbe già scritto
il gesto di chi come un automa risponde
copiando alla rovescia l'incendio
che arde la riva. Costretta a ripetereil male, l'ombra
dell'uomo svanirà.
Il 24 febbraio 2022 è di nuovo la guerra: la Russia
invade l’Ucraìna. Si ripete
uguale l’osceno inizio
di tutte le storie: qualcuno passa in armi un confine
e quel solco diventa il canale
dentro cui scorre
il sangue dei giovani uccisi, il loro oscuro sacrificio.
A settembre del 1939, s'aprì il baratro della
Seconda guerra mondiale: la Germania e l'Urss invasero
la Polonia come in un duplice specchio,
si fermarono solo
quando incontrarono lo stesso fiume,
le acque del Bug. Alla fine del mese, Varsavia era distrutta
come non fosse esistita,
l'8 ottobre Hitler disse, ed era un ordine: “I polacchi
diventeranno gli schiavi del Grande
impero germanico”.
Parole che girano ancora su se stesse, sono un vortice
che non sappiamo ricordare
ma su quei bordi siamo costretti a correre all'indietro,
tutta la storia dell’uomo è
questo pertinace disegno del dominio sull’altro,
Il prigioniero è legato, chiuso in uno stretto canile,
gli tagliano i capelli, premono
sulla sua pelle un marchio che brucia, gli tolgono il nome.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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