Oscene ossessioni sono le guerre, e di quello straziato delirio l'umanità è prigioniera. L'ultimatum di George W. Bush a Saddam Hussein porta la data del 19 marzo 2003. A fine marzo 2003 fu pubblicato il mio libro di poesia "I dolorosi discorsi", edizioni Sottotraccia.
La prima parte del libro è dedicata all'incendio appena sorto. Tra i primi testi, uno porta nel titolo quella data, "19 marzo 2003", ne leggo qualche verso: "Baghdad è nell'immagine / di New York, gli aerei / entrano nelle case, spezzano le sue torri, / i muri hanno palpiti / d'infiniti sismi, conoscono la morte, le contorte / funi ritorte nella nuova tortura”.
In quel libro c'è anche "Questo maggio pietoso", è del maggio 2002: meno di un anno dopo il mondo arderà per la guerra in Iraq.
RINO MELE
Questo maggio pietoso
Torneranno tutti. Spingeranno su pattini
d'aria il corpo, piccole
ruote di gomma, lo tireranno
con carrucole lievi, argani
silenziosi, le gru spezzate dell'infanzia.
Riempiranno le scale
e gli ascensori, stipàti
nelle metropolitane, troveranno riparo
nelle stanze dai letti rifatti, gli armadi.
Pallidi, ciechi, senza memoria,
avranno una voce
sottile, e basterà niente a farli piangere.
Hanno freddo,
si sono portati appresso quell'umore
gentile, il ghiaccio
delle lacrime dipinte, il bianco degli occhi,
i capelli messi insieme
da invisibili dita. All'improvviso avranno
fame e ci divoreranno, ben seduti,
la forchetta a sinistra come da un manuale.
Sarà un lungo giorno, i divorati
torneranno anche loro uguali, nella purezza
idiota della parola
insensata, un passo di danza in cui la mano
destra è alta e prende
la sinistra di chi dolcemente le si oppone
e la tira: come aprisse un velo,
la figura che s'apre e scompare. Le piazze,
i giardini, sono caduti nel vuoto,
la richiesta di un dono, l'allegria
feroce della guerra
per rabbrividire. Quando escono dalla calce,
non resta alcun segno, la siepe
è intatta e Dio ride
della vana spuma di una piccola onda
che intorno a una pietra
s'adombra e sfugge. Sulla riva,
in una vecchia Buick rossa, un maestoso
vagabondo conta le sue tre
dita, pensa al figlio inchiodato
su un palo, al suo amore straziato, le ali
di un fuoco
bianco, e s'addormenta,
anche lui senza nome, smemorato.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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