L'incubo ci preme nel sonno, non riusciamo a staccarcene, ci angustia e vorremmo svegliarci: ma la scena si ripete, la vittima continua a essere raggiunta dall'aggressore e noi siamo colpevoli spettatori.
RINO MELE
L'acrobata prima di cadere
Prima di cadere dalla corda, l'acrobata
sente il vento venirgli incontro,
gli parla piano, lo asseconda, si lascia spingere lontano
da se stesso,
poi nuovamente avanza, alza
il piede sinistro, fa bilancia delle braccia che reggono
una lunga canna con cui misura
l'aria che fredda
avvampa:
s'immagina capovolto, fermo nella caduta verso
l'alto, l'azzurro
che guarda
appena. Precipitando, sa che niente più potrà accadere.
Abbiamo delegato a uomini lontani
il delirio e il rischio, l'urlo del vento improvviso
che fa indietreggiare,
e sembra che stiamo sognando un brutto film: non vale
i soldi del biglietto, le sedie
scomode,
la pellicola che si spezza improvvisa:
schiacciati dall'ansia
della vittima e dalla certezza del carnefice
non possiamo più fingerci innocenti, siamo noi i personaggi
del film, con le mani sporche
di sangue e il puzzo di urina. Quel film ci mostra seduti
in quello sporco cinema
di periferia, spettatori di noi stessi che
vediamo sullo schermo.
Non c'è più la notte riparatrice
che traveste il dolore, e gli toglie la memoria: come quando
nella piazza rotonda
guardavamo l'acrobata correre oltre
il suo salto, nel cielo
che incombeva e sembrava il pavimento su cui moriva.
Siamo diventati spettatori malati
che aggrediscono
la vittima
se non li fa divertire
divorati dall'ombra. Ci troviamo davanti a nostra madre
morta,
una troppo vera rappresentazione,
lo spettacolo cancellato, e somiglia allo sperimentare
all'alba
il passo mancato dell'acrobata
che abbiamo appena incontrato, il suo
rimanere sospeso - cadendo - nel suo stupore.
__________________________________
Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
Leggi l'intera sequenza di POESÌ