La guerra, parola per i Russi impronunciabile, è iniziata giovedì 24 febbraio. Il 18 marzo a Mosca, nello Stadio Luzhniki, il Presidente della Federazione Russa, Putin, ha tenuto un discorso durante il quale imprudentemente ha citato il Vangelo di Giovanni (capitolo XV, versetto 13), le parole di Cristo durante l'Ultima Cena: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i suoi amici".
RINO MELE
Terrificante veder morire
Terrificante veder morire.
Chi uccide scava nel sangue della vittima che
vorrebbe gridare, sbianca,
le parole fuggono, restano nudi i pensieri
impediti di significare l’orrore:
Il volto di chi uccide è così vicino, guarda
gli occhi e cancella.
Resta come un dolore
dall’altra parte della vita, dove la guerra
danza,
e i morti nello sprofondo - che devono continuare
ad attraversare - coi piedi tagliati,
senza braccia, vorrebbero non essere nati.
Nello specchio
di un buio teatro, in uno stadio, Vladimir Putin
si prova un cappello, un piccolo elmo, una corona
di spine: al tavolo dell'ultima cena, gli apostoli,
il vento
s’alza come la storia e scompare.
Mentre la guerra strazia i corpi, e ne tira fuori
l’anima,
il Presidente della Federazione Russa, cita
il Vangelo di Giovanni, Cristo ha già dato del pane
intinto nella salsa
a Giuda che è uscito nella notte, poi
ha parlato con Pietro, gli ha ricordato di quella
notte il gallo,
pronto a svegliare col suo canto. Tommaso
gli ha chiesto la via che porta alla casa del Padre,
“Sono io quella via", risponde Cristo.
E’ una cena, l'ultima,
nell’esperienza della fine.
Filippo lo aveva sfidato: “Facci vedere
il Padre” e, come un acrobata, Gesù lo tira in alto,
nella vertigine, gli dice di guardarlo: che lui è
nel Padre come il Padre
è in lui.
Cristo fa da ponte, chiede ai discepoli di passare.
In questo sublime set del film della morte di Dio
irrompe il presidente Putin,
tra un missile e uno stupro delle sue milizie,
la distruzione di una scuola, con gli scolari
stupìti di morire,
dice le parole di Cristo
come fossero sue, le sporca con la guerra atroce,
le trascina dopo averne fatto strazio:
“Non c’è", ripete “Non c’è", “Non c’è amore
più grande che dare la vita per i propri amici”.
Putin entra nel Vangelo, ne esce
come da una porta
girevole condannato a rientrare. Scorrono
invisibili i fiumi in Ucraìna, il Dnepr,
il Danubio, il Donec, il Dnestr, sono le vene di
una mano: ma altre vene
appaiono dove
- nell’artificio psicotico della guerra - qualcuno
a ogni istante muore, un bambino, una ragazza,
un soldato disorientato.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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