In "Uscita di sicurezza" del 1965, Ignazio Silone scrive: "Non ci sono più frontiere geografiche della pace e della verità. Queste frontiere passano all'interno di ogni paese, nell'interno di ognuno di noi".
RINO MELE
La morte bambina e la guerra
Uccidiamo per cancellare il volto
che a noi è di fronte, spingerlo nella nebbia.
Un incendio scroscia. Ci sono morti
da uccidere
ancora (i vivi stanno nascosti), il mondo
solcato da calanchi aridi, gli occhi
aperti nello strazio come lumache schiacciate.
Ognuno ha un coltello
nel buio
della sua paura, lo alza per farsi coraggio,
gli resta infisso nel costato.
Quando all'improvviso le guerre svaniscono,
come la notte che sbianca,
nessuno ricorda la madre costretta
a vedere i suoi figli morire, sentirli gridare
il suo nome,
prima d'essere uccisa.
Ma, in un luogo non lontano, ricomincia la corsa
a inseguire chi cerca una casa, una tana,
le strade sono sbarrate, deviate, sporgono nel vuoto,
un bambino
ripetutamente chiede cosa accade. Come spiegargli
la crudeltà
senza riparo, come dirgli che si gioca a uccidere?
Nel sonno della guerra si entra
da svegli, ci si veste come a teatro, si addizionano
i morti ai morti, si perde il pensiero
dietro le parole.
I bambini sanno l'inganno e la magia degli animali
nelle favole: rinascono
dopo ogni racconto. Ma fuori dai libri illustrati,
spinti in un macello,
da quel labirinto gli animali non escono più e gli stridi
si mischiano all'odore dolce e al colore
rosso che invade.
Su un grande foglio, i bambini disegnano figure che
alzano le braccia verso il cielo - vermiglio
e giallo dei pastelli - con gli aeroplani che entrano nelle
nuvole,
la guerra è l'orrore d'essere inseguiti
da un cane, l'urlo
di un cavallo che nitrisce in un burrone, un film visto
in televisione, dove si vede
morire. I bambini di Kiev,
di Kharkiv, non riescono a svegliarsi, continuano
a scendere scale
dove il fuoco avvampa e li ricaccia
indietro fino a trovare
la cima di una torre che si rovescia quando
vedono la madre bruciare.
Restano fermi i bambini uccisi, gli occhi che
continuano a guardare, ognuno di essi ha in mano
una pietra, la pietra
rimane quando la mano scompare.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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