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20/11/24 ore

Poesì di Rino Mele. La morte bambina e la guerra



In "Uscita di sicurezza" del 1965, Ignazio Silone scrive: "Non ci sono più frontiere geografiche della pace e della verità. Queste frontiere passano all'interno di ogni paese, nell'interno di ognuno di noi".

 

 

 

 

RINO MELE

 

 

La morte bambina e la guerra

 

Uccidiamo per cancellare il volto

che a noi è di fronte, spingerlo nella nebbia. 

Un incendio scroscia. Ci sono morti 

da uccidere 

ancora (i vivi stanno nascosti), il mondo 

solcato da calanchi aridi, gli occhi 

aperti nello strazio come lumache schiacciate.

Ognuno ha un coltello 

nel buio 

della sua paura, lo alza per farsi coraggio,

gli resta infisso nel costato. 

Quando all'improvviso le guerre svaniscono, 

come la notte che sbianca, 

nessuno ricorda la madre costretta

a vedere i suoi figli morire, sentirli gridare 

il suo nome, 

prima d'essere uccisa. 

Ma, in un luogo non lontano, ricomincia la corsa 

a inseguire chi cerca una casa, una tana, 

le strade sono sbarrate, deviate, sporgono nel vuoto, 

un bambino

ripetutamente chiede cosa accade. Come spiegargli 

la crudeltà 

senza riparo, come dirgli che si gioca a uccidere?

Nel sonno della guerra si entra

da svegli, ci si veste come a teatro, si addizionano

i morti ai morti, si perde il pensiero

dietro le parole. 

I bambini sanno l'inganno e la magia degli animali 

nelle favole: rinascono 

dopo ogni racconto. Ma fuori dai libri illustrati,

spinti in un macello, 

da quel labirinto gli animali non escono più e gli stridi

si mischiano all'odore dolce e al colore 

rosso che invade. 

Su un grande foglio, i bambini disegnano figure che 

alzano le braccia verso il cielo - vermiglio 

e giallo dei pastelli - con gli aeroplani che entrano nelle 

nuvole, 

la guerra è l'orrore d'essere inseguiti 

da un cane, l'urlo 

di un cavallo che nitrisce in un burrone, un film visto 

in televisione, dove si vede 

morire. I bambini di Kiev, 

di Kharkiv, non riescono a svegliarsi, continuano 

a scendere scale 

dove il fuoco avvampa e li ricaccia

indietro fino a trovare 

la cima di una torre che si rovescia quando

vedono la madre bruciare. 

Restano fermi i bambini uccisi, gli occhi che 

continuano a guardare, ognuno di essi ha in mano 

una pietra, la pietra 

rimane quando la mano scompare. 

 

 

__________________________________   

 

 

Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 

 

  

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