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06/05/24 ore

Poesì di Rino Mele. Le rose di Virgilio



Le rose d'inverno, il nuovo anno che appare - nello sconforto e nel riso - col doppio volto di un familiare enigma.

 

 

 

 

RINO MELE

 

 

 

Le rose di Virgilio

 

 

Nella ferma ora meridiana, le siepi di rose sono

un confine 

con nascoste divinità. Virgilio

se ne incantava, vi leggeva la speranza di 

conoscere

il cavo della maschera di chi, per sempre, 

ha girato il volto verso il vuoto, 

dove grida lo sconosciuto 

silenzio. Amava le rose, nell'addensarsi dei petali 

vedeva un labirinto, il doloroso 

affanno 

del respiro, la corsa al contrario verso un'origine

senza rappresentazioni, illusorie 

immagini,

ma con la concreta

asprezza che viene prima dei nomi,

come una pietra che voli e sappiamo ci colpirà. 

Sulla riva, la notte

scende piano, si lascia trascinare lontano, il vento 

sembra uno stormo di uccelli.

Nella nebbia 

un'automobile è ferma

con i fari accesi, vuota. All'alba tornano i rumori, 

l'intestardirsi di un remo

sfinito nello scalmo. 

Un anno nuovo è come, nel sogno, remare 

per uscire dal luogo senza ricordi 

e ci resti dentro, come nell'eco il richiamo.

Una stanza notturna, un prato. 

La barca è sul tetto di una casa in mezzo al lago.

 

 

__________________________________   

 

 

Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 

 

 

  

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