Sembra avverarsi la profezia di Gioele: "Sol et luna obtenebrati sunt, et stellae retraxerunt splendorem suum". La violenza copre la terra, e il nostro stesso volto non è più riconoscibile.
RINO MELE
I morti non sanno subito d'essere morti
All'aeroporto di Kabul, all'Abbey Gate, il pomeriggio del
26 agosto 2021,
un kamikaze - come fosse atteso - si muove piano tra i marines
che danno ordini, e gli afghani, che fanno ressa e stringono.
Un vulcano di stracci disperati
all'improvviso s'apre nel fuoco dell'esplosione, rimane fermo nell'aria
mutilata.
Quattrocento corpi ardono. Un muro
di carne, mentre la saliva sporca i volti, e il gemito
strazia, s'alza, si ripete
nell'odore triste dell'urina. Il pianto testardo di un bambino
implora di non essere travolto.
Intanto, cambia la scena, non è più l'entrata di un aeroporto ma
la riva del nulla, dove
i morti non sanno subito d'essere morti.
Alla calce stretta dei corpi fatti a pezzi, risponde l'improvviso silenzio di
un non misurabile istante,
e l'eco di spari dall'albergo Baron, poco lontano.
Ognuno corre e non sa dove, sembra voli con ali di legno, si dirupa nel
grido acido
di chi lo precede, prende i morti per mano.
Non è più l'Afghanistan, un riconoscibile luogo, ma una valle senza
nome, l'aeroporto
scompare. Gli altri incendi
della storia ardono ancora tutti. In un rogo bianco, Giordano Bruno
per maggior disgusto e oltraggio, nudo, ancora più nudo, perché non
ci fosse stoffa
alcuna - nemmeno la saliva del vento - tra la carne e il fuoco.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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