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20/11/24 ore

POESÌ di Rino Mele. I morti non sanno subito d'essere morti



Sembra avverarsi la profezia di Gioele: "Sol et luna obtenebrati sunt, et stellae retraxerunt splendorem suum". La violenza copre la terra, e il nostro stesso volto non è più riconoscibile.

 

 

 

 

 

RINO MELE

 

 

I morti non sanno subito d'essere morti

 

All'aeroporto di Kabul, all'Abbey Gate, il pomeriggio del 

26 agosto 2021, 

un kamikaze - come fosse atteso - si muove piano tra i marines 

che danno ordini, e gli afghani, che fanno ressa e stringono. 

Un vulcano di stracci disperati 

all'improvviso s'apre nel fuoco dell'esplosione, rimane fermo nell'aria

mutilata. 

Quattrocento corpi ardono. Un muro 

di carne, mentre la saliva sporca i volti, e il gemito 

strazia, s'alza, si ripete 

nell'odore triste dell'urina. Il pianto testardo di un bambino

implora di non essere travolto.

Intanto, cambia la scena, non è più l'entrata di un aeroporto ma 

la riva del nulla, dove 

i morti non sanno subito d'essere morti. 

Alla calce stretta dei corpi fatti a pezzi, risponde l'improvviso silenzio di

un non misurabile istante, 

e l'eco di spari dall'albergo Baron, poco lontano. 

Ognuno corre e non sa dove, sembra voli con ali di legno, si dirupa nel

grido acido 

di chi lo precede, prende i morti per mano. 

Non è più l'Afghanistan, un riconoscibile luogo, ma una valle senza

nome, l'aeroporto

scompare. Gli altri incendi 

della storia ardono ancora tutti. In un rogo bianco, Giordano Bruno 

per maggior disgusto e oltraggio, nudo, ancora più nudo, perché non 

ci fosse stoffa 

alcuna - nemmeno la saliva del vento - tra la carne e il fuoco.

 

 

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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 

 

 

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