L'inquisizione è la razionalizzazione estrema del male, continua a sopravvivere tra noi inavvertita, ineliminabile, oscena. In "Il processo di Giordano Bruno", 1948, Luigi Firpo scrive: "Al cadere del marzo 1597 o poco più tardi Bruno subì il suo diciassettesimo interrogatorio, l'ultimo menzionato con numerazione espressa nel 'Sommario', forse inasprito dall'usuale mezz'ora di applicazione del supplizio della corda".
RINO MELE
Inquisizione
Un tratto di corda, le mani legate in alto a slogare
il corpo,
il dolore gridato rompe il pensiero, spinge a ridere
nello strazio.
Il condannato esce da se stesso, fuori dalla sua
nudità,
pensa che non morirà più, attaccato alle braccia
distratte
da quel lacerare. La stanza è buia, a lui sembra
che un altro
sia al suo posto, a soffrire: in questo delirio trova pace,
cerca quel volto
che, come gli fosse di fronte, grida nell'essere straziato.
Lo infastidisce il sibilo delle domande
dei giudici, vorrebbe
sentire solo il proprio grido, ininterrotto, il singulto che
sale, urta,
torna indietro a ricominciare. Sempre uguale il pianto
sporco di sangue, la saliva, lo sperma,
il sudore: non trova i suoi occhi nello sguardo di chi lo
tortura: un tiro di corda,
un altro, ancora: a testa in giù.
Non ricorda il proprio nome, del tempo fermo
fa una scala che gira su stessa,
la risale nell'orrendo girare: si guarda intorno disorientato,
due tavole
gli premono il petto a schiacciargli il cuore, sa
d'essere calpestato
mentre una voce ripetutamente s'insinua
chiedendogli di confessare.
Ormai sfugge alla memoria dell'istante precedente,
i morti
che gli stanno intorno
lo incoraggiano, tra poco sarà libero di non ricordare.
L'inquisizione
usava la tortura per chiedere quale fosse la colpa.
Una domanda gentile
mentre ti gettano
nel pozzo,
la carrucola si scatena, e scendi per non risalire più.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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