Tacito descrive così la morte di Seneca (65 dopo Cristo) cui l'imperatore Nerone, accusandolo falsamente di aver preso parte alla congiura dei Pisoni, ha ingiunto di uccidersi: "Poiché il suo corpo vecchio ed indebolito dal poco cibo, offriva una lenta uscita al sangue, si recise anche le vene delle gambe e delle ginocchia (...). Protraendosi la morte lenta, Seneca pregò Anneo Stazio, da lungo tempo amico suo e famoso per l'arte medica, di dargli quel veleno già da tempo provveduto, col quale si facevano morire gli Ateniesi condannati in pubblico giudizio. Avutolo, lo bevve invano perché il gelo aveva già invaso le membra, e il corpo era ormai refrattario all'azione del veleno".
Seneca morì il 12 aprile.
RINO MELE
Morte di Seneca
Riusciamo appena a distinguere l'io e il tu, nel riflesso
dello specchio
cui attribuiamo i pensieri che non ha,
l'insincero volto che su una limpida superficie vediamo. Parliamo
- e il linguaggio è solo risposta alla voce
che ci insegue - non sapendo dire
niente che non sia l'urlo
dal quale siamo stati generati, mai del tutto nati.
La sembianza di un suono, la vocale che si ripete, e
in cui si nasconde nostra madre, il suo tornare dai morti quando
ogni voce manca.
Com'è dolce dormire nelle albe di quest'aprile, scordàti
di tutto. Seneca
ebbe l'ordine di uccidersi da un pazzo imperatore. Nel farlo, ebbe pietà
e non dolore.
Aprì le sue vene, bevve la cicuta, cercò un sentiero nel sangue che
l'acqua tenera di una vasca confondeva.
Entrava nella notte, ripensò alle rose di un vicino orto, si rallegrò per il
loro odore, il colore da cui la sua vita
fuggiva. Lasciava ai margini di una sconosciuta strada
il vestito, la maschera del volto, il doloroso destino, la continua
rapina del prendere
nell'accumulo della pena: la distruzione delle ombre amate
dimenticando di averle viste soffrire.
Mentre scriviamo, svaniscono i segni appena tracciati, resta di noi
il fischio lungo di un treno lontano, il silenzio.
_________________________________________
Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
Leggi l'intera sequenza di POESÌ