Un'esperienza nuova per me, il figlio di un figlio. Marius ed Eleonora da quattro mesi hanno Ulisse. Un tempo ostile per nascere, ed è anche una festa. Avevo poco più di due anni quando l'Italia cadde nel precipizio della Seconda guerra mondiale e avvampò d'ira il mondo. Il futuro somiglia terribilmente al tempo passato. Ma, cosa dire a lui e ai bambini che appena iniziano, in questa aspra bufera di violenza politica e sociale, a vivere?
RINO MELE
Lettera a Ulisse (come custodire l'altro se stesso, una volta nati?)
Sei venuto tra queste onde alte e non sono solchi d'acqua,
ma dure mani e corpi, e colori
delle cose.
Le rondini salgono, le segui con lo sguardo, tornano indietro nel loro
grido, nei richiami
bianchi e neri del volo, l'inabissarsi delle ali: uscendo
la prima volta, sei rimasto incantato dagli alberi, i rami larghi,
le foglie
che si muovono come labbra a parlare. Era novembre. Avevi un mese
appena, cosa vi siete detti, tu e gli alberi,
le querce rosse, i róveri, gli abeti, i melograni del giardino
di Santa Maria degli Angeli?
Loro hanno un linguaggio che somiglia al tuo - per confronto
e opposizione - il vibrare sonoro
delle foglie, i rami a gonfiarsi nel trattenere il vento,
il tenero aprirsi delle tue ciglia, le labbra, il latte caldo che copre il vólto
per troppa sete.
Un bambino dev'esser attento a non dimenticare la perfezione del buio
prima della nascita,
il silenzio e i suoni, il mare
in cui vivevi senza dover respirare: continua a ricordartene
anche quando conoscerai
il tempo che lacera,
il continuo errare, il trasformarsi del giorno, quell'inquietudine
delle notti che minaccia l'attesa.
Come un nuotatore portato via dalla sua isola
ti ritrovi nel seducente deserto dove
stiamo sempre a scrivere regole per un viaggio che è stato già
consumato: come se potessimo ricominciare
ora che la tenebra calda non c'è più.
Ulisse, di cui porti il nome, sapeva
le strade del mare,
il capovolgersi delle piccole navi e il veloce navigare, lo scendere
con la forza agile delle braccia le scale dello sprofondo, e anche il ritorno,
che è un nuovo andare.
Abbi sempre un luogo interno da cui guardare te stesso,
prendi con te il necessario, due bastoni per giocare, un libro che ami,
il cappello
per sfidare il vento.
Non infliggerti mai un male, per evitarne un altro: la paura
è il nemico da esorcizzare.
Dovrai tenere per mano il bambino che sei stato, difenderlo
e portarlo sempre con te,
giocarci, lasciarlo crescere piano.
Impara a parlare con la sua ombra, questa parte notturna che ti
appartiene: i sogni
in cui predici il giorno. Sarete sempre in due.
E se ti troverai in un sentiero stretto, costretto a scegliere
tra i pregiudizi
degli altri - il timore di contrastarli - e il tuo desiderio profondo,
allora è il momento di correre davanti a te stesso, renderti irraggiungibile.
In una fotografia, Ulisse, ti ho visto
spiare dalle spalle di tuo padre, guardavi, imparavi a misurare: questo è il
segreto:
riportare su un foglio immaginato la linea chiara del bosco, il fiume, il
pensiero appena pensato.
L'ombra tua, proteggila dallo svanire, e con lei
continua a parlare. Ognuno di noi è anche l'altro che non appare.
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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.
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