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20/11/24 ore

POESÌ. Rino Mele, Lettera a Ulisse (come custodire l'altro se stesso, una volta nati?)



Un'esperienza nuova per me, il figlio di un figlio. Marius ed Eleonora da quattro mesi hanno Ulisse. Un tempo ostile per nascere, ed è anche una festa. Avevo poco più di due anni quando l'Italia cadde nel precipizio della Seconda guerra mondiale e avvampò d'ira il mondo. Il futuro somiglia terribilmente al tempo passato. Ma, cosa dire a lui e ai bambini che appena iniziano, in questa aspra bufera di violenza politica e sociale, a vivere?

 

 

 

 

 

RINO MELE

 

 

Lettera a Ulisse (come custodire l'altro se stesso, una volta nati?)

 

 

Sei venuto tra queste onde alte e non sono solchi d'acqua, 

ma dure mani e corpi, e colori 

delle cose.

Le rondini salgono, le segui con lo sguardo, tornano indietro nel loro 

grido, nei richiami 

bianchi e neri del volo, l'inabissarsi delle ali: uscendo 

la prima volta, sei rimasto incantato dagli alberi, i rami larghi, 

le foglie 

che si muovono come labbra a parlare. Era novembre. Avevi un mese

appena, cosa vi siete detti, tu e gli alberi, 

le querce rosse, i róveri, gli abeti, i melograni del giardino 

di Santa Maria degli Angeli? 

Loro hanno un linguaggio che somiglia al tuo - per confronto 

e opposizione - il vibrare sonoro 

delle foglie, i rami a gonfiarsi nel trattenere il vento, 

il tenero aprirsi delle tue ciglia, le labbra, il latte caldo che copre il vólto 

per troppa sete.

Un bambino dev'esser attento a non dimenticare la perfezione del buio

prima della nascita,

il silenzio e i suoni, il mare 

in cui vivevi senza dover respirare: continua a ricordartene

anche quando conoscerai 

il tempo che lacera,

il continuo errare, il trasformarsi del giorno, quell'inquietudine 

delle notti che minaccia l'attesa. 

Come un nuotatore portato via dalla sua isola

ti ritrovi nel seducente deserto dove

stiamo sempre a scrivere regole per un viaggio che è stato già

consumato: come se potessimo ricominciare 

ora che la tenebra calda non c'è più.

Ulisse, di cui porti il nome, sapeva 

le strade del mare,

il capovolgersi delle piccole navi e il veloce navigare, lo scendere

con la forza agile delle braccia le scale dello sprofondo, e anche il ritorno,

che è un nuovo andare.

Abbi sempre un luogo interno da cui guardare te stesso, 

prendi con te il necessario, due bastoni per giocare, un libro che ami,

il cappello 

per sfidare il vento. 

Non infliggerti mai un male, per evitarne un altro: la paura 

è il nemico da esorcizzare.

Dovrai tenere per mano il bambino che sei stato, difenderlo

e portarlo sempre con te,

giocarci, lasciarlo crescere piano.

Impara a parlare con la sua ombra, questa parte notturna che ti

appartiene: i sogni

in cui predici il giorno. Sarete sempre in due. 

E se ti troverai in un sentiero stretto, costretto a scegliere 

tra i pregiudizi 

degli altri - il timore di contrastarli - e il tuo desiderio profondo,

allora è il momento di correre davanti a te stesso, renderti irraggiungibile. 

In una fotografia, Ulisse, ti ho visto

spiare dalle spalle di tuo padre, guardavi, imparavi a misurare: questo è il

segreto:

riportare su un foglio immaginato la linea chiara del bosco, il fiume, il

pensiero appena pensato. 

L'ombra tua, proteggila dallo svanire, e con lei 

continua a parlare. Ognuno di noi è anche l'altro che non appare.

  

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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

  

 

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