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19/04/24 ore

POESÌ. Rino Mele, Il tempo che non c'è



Un grammatico del terzo secolo dopo Cristo, Censorino, nel suo De die natali scrive: "Ma il presente, che si colloca nel mezzo, è così breve e inafferrabile da non avere estensione e non sembrare più altro che il congiungimento tra le cose passate e le cose future; è inoltre così incostante da non essere mai nello stesso posto; e tutto ciò che lo percorre lo sottrae al futuro e lo aggiunge al passato".

 

 

 

 

RINO MELE

 

 

 

Il tempo che non c'è

 

Abbiamo ucciso il tempo depredandolo, col rischio di trovarci le dita

tagliate

da piccole lame.

È solo un concetto grammaticale, un sostantivo grezzo,

autoritario

ma per capire cosa sia, il tempo, bisogna incontrare il nostro io quando

non ha più vólto, nel sonno,

ci dirà che non c'è futuro, né presente, ma solo

un irrimediabile sprofondo,

l'urlo di nostra madre, il gelo negli occhi di nostro padre,

entrambi ai lati della porta che non s'apre

e noi, chiusi all'esterno,

impediti di tornare.

Due alberi stanno di fronte, e un fiume tra loro scorre.

Sappiamo che il passare del tempo

è inconoscibile, e noi

cosi vicini: legati ad esso, come al proprio morire il condannato,

quando non dispera più.

Ciechi che precipitano: non riusciremo a fermare nessun istante,

corriamo all'indietro

scrutando le tenebre da cui ci allontaniamo, scambiandoci sgomenti

le tessere del gioco.

Anche quel poco amore che non siamo capaci di dare è solo

un gettare in alto, dalla spiaggia, una pietra schiacciata che sfiori le

onde mentre già

si posa sul fondo, a svanire.

Il tempo che conosciamo è dolore del passato, il ricordo spezzato,

la morte che - nel testardo distrarsi 

del presente - 

nella sua immutabile pena ci ha preso per mano 

verso un luogo dimenticato.

Il tempo 

è solo una condizione grammaticale, nel nome si nasconde

un participio presente

che irride la nostra pretesa di misurare.

Quel protrarsi del gioco che non sappiamo giocare.

 

 

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Rino Mele (Premio Viareggio Poesia 2016, terna finale con “Un grano di morfina per Freud", ed. Manni) scrive, il venerdì e il martedì, su “Agenzia Radicale”. Dal 2009 dirige la Fondazione di Poesia e Storia. Il nome della rubrica è “Poesì”, come nel primo canto del “Purgatorio” Dante chiama la poesia.

 

 

  

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