Se il suo intento era baciare delicatamente le pallide labbra di molte menti sopite, beh, forse Marco Bellocchio non è il principe giusto. Se, sprofondata nel suo letto, l'Italia si aspettava l'ennesimo film scandalo di un regista giustiziere per rompere l'incantesimo, beh, probabilmente dovrebbe sistemarsi meglio i cuscini e prepararsi al grande sonno.
Non c'è la bandiera ideologica con lo stemma degli Englaro, in 'Bella addormentata': c'è il deserto della malattia, la tentazione della morte, ma Bellocchio non è un novello Mosè pronto ad accogliere e diffondere nuovi comandamenti da un Dio che, Ipse dixit, donò all'uomo il libero arbitrio. La più terribile delle dannazioni.
Perchè proprio la lacerazione che la scelta comporta pone costantemente l'essere umano sulla soglia del dramma. Esattamente lì Bellocchio conduce il suo spettatore. Ed esattamente lì si ferma. Perchè, volutamente castrato dalla presunzione di assurgere a detentore di verità assolute, il film rimane sulla porta, fermo a guardare i vivi, i loro fantasmi e i quasi-morti muoversi specularmente nel limbo morale/legislativo/culturale creato dalla vicenda di Eluana.
E' una danza dei sentimenti, 'Bella addormentata', ma senza musica d'accompagnamento; movimenti delicati e ben coordinati, ma al ritmo del silenzio. Dedica la sua riflessione ai sensi, Bellocchio, attraverso immagini sapienti e altamente evocatrici, utilizzando la crepuscolare fotografia di Daniele Ciprì per costruire un palcoscenico stilisticamente perfetto, carico d'umidità, di nebbia, di particelle d'acqua; pronto a diventare mare, palude, arido terreno.
Peccato che i veri protagonisti, su quel palco, siano evaporati allo schiudersi del sipario.