“Tra pochi giorni lo porterò a Toronto, poi a New York, Rio, Mosca, Tokyo, Telludirde...” Dovunque insomma, spera Marco Bellocchio, la sua 'Bella addormentata' possa ottenere i riconoscimenti che la giuria di Venezia guidata da Michael Mann gli ha negato.
Perchè l'ultimo film del regista piacentino, in lizza per il Leone d'oro nella sessantanovesima edizione del prestigioso festival lagunare, di premi non ne ha ricevuto neanche uno. Colpa, forse, di un presunto 'provincialismo' che, secondo il presidente di giuria, catapulterebbe la pellicola dedicata al caso Englaro e alla delicata questione dell'interruzione della vita in quel limbo di autoreferenzialità in cui il cinema italiano pare da anni essere precipitato.
Ma, tiene a precisare Bellocchio in un'intervista a Corriere.it, “chi viene da Oltreoceano talora ha difficoltà a capire qualcosa dell'Italia, che cosa davvero succede da noi, quali siano le forze politiche in gioco, la nostra tradizione cattolica, il peso del Vaticano...Per questo spara obiezioni superficiali con la supponenza di chi si considera il padrone del mondo”.
“Io ho affrontato con rispetto e in modo complesso un tema arduo e delicato come il fine vita” spiega ancora il regista di 'Buongiorno notte', dichiarandosi stufo di cotanta “imbecillità”: “a chi parla di autoreferenzialità – ha detto - vorrei chiedere: ma tu che hai capito del mio film?”.
Nessun commento esplicito, invece, sulla giuria che avrebbe giudicato “secondo una sua idea di bellezza”, ma alla quale un Bellocchio al vetriolo suggerisce di non venire a impartire “lezioni su che cosa gli italiani dovrebbero raccontare al cinema”.
Risentimento? Delusione? Rabbia? “Ho partecipato alla competizione e sono stato sconfitto. Lamentarmi no...” ma, promette (o minaccia) il regista “ho comunque preso una decisione: non parteciperò mai più a un festival. Questo è stato l'ultimo della mia carriera”. (F.U.)