Il cinema ritorna ancora una volta tra i banchi di scuola con un film canadese, “Monsieur Lazhar”, di Philippe Falardeau, tratto dalla pièce teatrale” Bachir Lazhar” di Evelyne de la Chenelière, già vincitore di diversi premi.
Il film racconta la storia del signor Lazhar (M. Said Fellag), immigrato algerino con un passato doloroso, che viene assunto come supplente in una scuola elementare di Montreal dopo il suicidio di una maestra.
Messi all’improvviso di fronte al dramma della morte, gli alunni sono ovviamente molto scossi e per Bachir non è facile all’inizio farsi accettare da loro, anche per differenze tra culture e tradizioni e metodo didattico-educativo un po’ all’antica, basato su dettati difficili e qualche scappellotto .
Pian piano, tuttavia, riesce ad entrare nelle loro vite, in particolare in quelle di Alice (Sophie Nelisse) e Simon (Emilien Néron), meravigliandosi della loro sensibilità, e così gradualmente approfondisce con affetto il rapporto con i ragazzi rafforzando in loro autostima e coraggio per riconquistare perdute sicurezze .
Senza dimenticare il legame interrotto con la sua terra e un drammatico passato di rifugiato politico, nel prodigarsi per alleviare i problemi psicologici ed esistenziali dei suoi alunni riesce contemporaneamente a rielaborare il suo lutto personale legato alla perdita di moglie e figli, uccisi in un attentato.
“Si limiti a insegnare, non ad educare nostra figlia” si sente dire da una coppia di genitori. Ma si può insegnare senza educare? Impossibile, soprattutto se si vive l’insegnamento come totale dedizione alla “crescita” umana e spirituale di altri esseri umani, per cui il cammino iniziato va percorso fino in fondo, anche con manifestazioni fisiche “non colpevolizzanti” se vissute senza malizia, come in un lontano passato quando qualche scappellotto o una carezza non venivano mal interpretati, ma ben distinti con discernimento da metodi troppo coercitivi o abusi sessuali.
Il rapporto maestro-alunno, pertanto, nel film diventa interazione tra esseri umani, scoperta reciproca di storie personali al di là di nomi sul registro, banchi e cattedra, in cui l’adulto apprende dal bambino e viceversa, scambi affettivi che consentono di superare insieme sofferenza, depressione, paura, sensi di colpa e di accettare perfino la morte come parte integrante della vita.
Ed infine la toccante favola allegorica su “albero e crisalide”, narrata da Bachir, segna il momento più alto e significativo del film, quasi un delicato e poetico appello all’intera Umanità sulla necessità “di proteggere la crisalide affinché possa trasformarsi in farfalla”, per permettere cioè ad ogni bambino di “crescere” in modo armonioso e poter così spiccare il volo verso la vita.
“Monsieur Lazhar” è un bel film che coinvolge emotivamente lo spettatore senza cadere mai in toni retorici e falsamente moraleggianti, un film che fa riflettere sul significato della vita.
Giovanna D’Arbitrio