Quale contraltare alla fede? Il regista austriaco Ulrich Seidl se lo chiede nel secondo episodio della trilogia Paradiese intitolato “Faith”.“Love”, il primo, accolto da calorosi applausi a Cannes la scorsa primavera, mostrava le sugar mama tedesche (come vengono chiamate dagli indigeni le turiste sessuali in azione nell’Africa sub-Sahariana) alle prese con i locali prestatori di un’opera, motivata essenzialmente da mogli e proli numerose da sfamare. E l’autoerotismo inconcludente… per difetto di ispirazione, del mandingo di turno veicolava i molti significati e contenuti del film.
In questa seconda impresa il gioco di Seidl si fa duro nella complessità e delicatezza che richiede tentare di giocarlo, come in effetti riesce all’autore austriaco, impeccabilmente.
Anna Maria, assistente in un reparto di radiologia, pone al centro della sua vita spirituale ma non solo, come progressivamente si rivelerà, la figura di Gesù in svariate forme e modi. Predicando porta a porta i comandamenti a coloro i quali ritiene di convertire o semplicemente ricondurre alla fede, fondando un gruppo volontario di preghiera, portando nelle case di sconosciuti una statua della Madonna e cantando le sue lodi al pianoforte di casa e durante la sua operosa giornata.
Fin quando il marito egiziano di fede musulmana,ritorna a casa su una sedia a rotelle dopo due anni di assenza, aspettandosi di ritrovare la moglie e nel contempo l’amante che è stata in passato e da cui si era allontanato per lavoro. Ma la donna non è più assolutamente disponibile.
Non solo; la casa è stata nel frattempo da lei addobbata con ogni genere di oggetti religiosi, crocefissi ovunque, persino acquasantiere.
Anna Maria è inoltre fermamente decisa ad impedire al marito ogni genere di comportamento che rischi di far entrare il peccato in casa loro, uno tra tutti l’assistere agli spettacoli televisivi, sola distrazione del marito, tristemente offeso nel corpo e di conseguenza nello spirito.
Di doveri coniugali, peggio, non si può nemmeno discutere. La contrapposizione dei due coniugi sfocia presto in ostilità violenta che la donna finisce col vivere come castigo divino fino a …
Fondamentalismo religioso, spiritualità-affettettività-sessualità, scandiscono la temperatura emozionale del film che varia continuamente dal tragico al comico al grottesco senza un genere che ne contenga la continuità e possa definire l’insieme che rimane umanissimo e per ciò stesso struggente nella sua, seppur a tratti perversa, deriva.
Potrebbe essere o diventare, se premiato, il film-evento di questo festival anche a causa di una scena che ha come protagonisti un grosso crocefisso e il corpo della donna o chissà, forse ancor di più e diversamente, per la scena che precede i titoli di coda ma questa è solo una delle molte possibilità per il regista considerato da Herzog, il miglior cineasta contemporaneo.
Vincenzo Basile