In tema di libertà sessuale ci troviamo di fronte a una restaurazione di ritorno, a un neo-conformismo che ci riporta agli anni 60 e 70 e che magari dovrebbe indurci a rispolverare le battaglie per i diritti umani e civili di quei tempi: questa, in estrema sintesi, la conclusione a cui sono giunti i partecipanti al dibattito che è seguito alla proiezione del lungometraggio di Carmine Amoroso, “Porno & libertà - Porn to be free”, alla sede del Partito Radicale il 3 novembre scorso.
Moderati da Gianni Carbotti, di “Amnistia Giustizia Libertà Abruzzi”, insieme al regista del film sono intervenuti la regista Giuliana Gamba, la scrittrice Helena Velena e due radicali storici come Sergio Rovasio e come il nostro direttore Giuseppe Rippa.
Da quest’ultimo voglio trarre quella che mi è parsa l’analisi più lucida del “sistema” che forse ci si trova a dover combattere di nuovo: Rippa ricorda quando, all’inizio degli anni 70, si tenne a Licola, in provincia di Napoli, «una piccola Woodstock all’italiana», dove si riunirono tantissimi giovani e dove i Radicali riuscirono a creare, tra mille ostacoli, piccoli spazi di dibattito.
Il punto di rottura - continua Rippa - che i libertari e i radicali si trovarono a rappresentare, con la battaglia di liberazione sessuale che sarebbe dovuta giungere alla restituzione all’individuo, alle persone, della propria autonomia nelle scelte intime, anche sessuali, aveva di fronte due avversari: «sicuramente un impianto clericale sessuofobico, ma anche una certa sinistra che cercava la normalizzazione, il conformismo, per assicurare quella “pax sociale” che doveva garantire il controllo voluto dal bipolarismo coatto internazionale».
Oggi come allora, il conformismo perbenista, il politicamente corretto, hanno la stessa funzione di “controllo” sociale, magari proibendo e ostacolando, rispetto a quei decenni, altri diritti, ma sempre in nome della “pax sociale” evocata da Rippa.
Mi permetto di chiosare, nell’eventualità che ci troviamo di fronte alla necessità di una nuova rivolta, con le parole di Massimo Fagioli, tratte da un’intervista (Quaderni Radicali n.100) che già dalla affermazione dello psichiatra scelta per il titolo, “Non c’è libertà senza identità”, ci dava un importante suggerimento: «Si diceva “liberiamo il desiderio” - afferma Fagioli - e si intendeva che la libertà si ottenesse spaccando le vetrine o uscendo di casa nudi… Ma non era vero: c’è la realtà umana da prendere in considerazione.
Sull’iconoclastia, sul voler abolire tutti i divieti, sul “vietato vietare” si può essere perfettamente d’accordo, ma la cosa si esaurisce in niente se prima di parlare di libertà del desiderio non si trova questo desiderio! Che vuoi liberare, un uccello che non c’è? Aprivano la gabbia al desiderio ma dentro il desiderio non c’era.
Per cui venne fuori uno “scopiamo, scopiamo” e nessuno sapeva scopare. Allora, ecco la grande fiammata, ma poi bastò che arrivasse De Gaulle a fare “bau” e tutti tornarono a casa con la coda tra le gambe. Perché non c’era identità».
(foto di Bengje Basili Morris)