di Gianni Carbotti e Camillo Maffia
Sarà mica che le idee di Marco Pannella sono più scomode oggi che negli anni Settanta? A giudicare da quello che sta accadendo al documentario “Porno e libertà” di Carmine Amoroso, che nel ritrarre un'epoca in cui faticosamente forze politiche come i Radicali tentavano di aprire la strada alla cosiddetta “liberazione sessuale” non manca d'inserire un contributo dello stesso Marco, che ricorda e commenta lo scandalo della elezione della pornodiva “Cicciolina” Ilona Staller, sembrerebbe proprio che il pensiero del leader radicale crei più scompensi ai benpensanti di oggi, che non a quelli di ieri.
Non si spiega infatti il paradosso a cui stiamo assistendo in questi giorni: la censura di un film sulla censura, che dopo il bavaglio sui social network sta subendo anche una strana sorta di ostracismo di mercato, tanto che, a quanto racconta l'autore stesso, è sempre più difficile andarlo a vedere nei cinema. Per capire come stanno le cose, ci siamo rivolti proprio al regista di “Porno e libertà”.
Allora Amoroso, prima di entrare nella questione della censura di questi giorni, un riepilogo su come è nato il film. Quale è stato lo spunto che ha portato alla sua nascita?
Il film nasce nel 2011, quando ho incontrato Riccardo Schicchi, che conoscevo da sempre come personaggio televisivo ma non avevo mai incontrato personalmente e, conoscendolo, mi sono reso conto che lui aveva combattuto per la libertà sessuale anche attraverso un'idea politica. Era questo che più m'interessava. Poi naturalmente Riccardo Schicchi apparteneva anche al mio immaginario adolescenziale con tutto quello che ha prodotto da Cicciolina a Moana Pozzi, ecc.
Delle vere icone, potremmo dire...
Sì, delle icone importanti per tanti. Diciamo che ha forgiato un po' la mia educazione, non sentimentale in questo caso ma erotica…
Come per milioni di italiani.
(Ride, n.d.r.) Come per milioni di italiani, certo. Insomma, mi ha fatto molto piacere incontrarlo e poi, ad un certo punto, mi sono improvvisamente reso conto che, mentre in America la cultura pornografica era stata analizzata, sono stati fatti molti film, i personaggi analizzati in maniera definitiva, ricordiamo il film di Forman (The People vs. Larry Flynt, 1996, N.d.R.), in Italia Riccardo Schicchi con tutto quello che aveva prodotto non era stato mai analizzato, non era mai stato fatto nulla, ecco.
Diciamo che qui il porno come genere è un po' relegato in una sorta di limbo da pornoshop o da edicola di periferia.
Sì, certo, in una specie di ghetto... come tutto il resto d'altronde, nella nostra società abbiamo creato dei ghetti in cui raccogliere gli "scarti". In questo caso si tratta veramente di uno scarto culturale. Però non analizzare la pornografia - che secondo me è uno dei linguaggi principali della nostra contemporaneità - è molto grave e naturalmente tanto più impedire di farlo. Quindi tutto nasce dal mio incontro con Riccardo Schicchi. Decidiamo appunto di andare avanti, chiedo naturalmente l'aiuto finanziario da parte del Ministero che mi viene assolutamente negato nonostante io abbia presentato una sceneggiatura completa e poi abbia presentato anche dei frammenti di quello che stavo facendo. Mi hanno riso in faccia, veramente, perché per loro il termine stesso "porno" è qualche cosa di pruriginoso, relegato alla vergogna, ma non solo: è come se nell'accettare questa cosa in qualche modo s'intaccasse la reputazione delle persone, quindi non ho avuto alcun aiuto finanziario, anche da altri produttori (non parliamo della RAI).
Ho dovuto praticamente farlo da solo insieme a degli amici. Abbiamo creato una società e mano a mano abbiamo tentato di realizzarlo con enormi sacrifici. Perché poi effettivamente quando si vuole fare un prodotto di qualità ci vogliono soldi. Non è che io potevo raccontare quest'avventura della pornografia, il suo rapporto con la controcultura degli anni '70 così, no? E' chiaro che ci vuole anche un impegno economico, impegno cui noi con grandi sacrifici abbiamo fatto fronte. C'è da dire che né io né i miei amici siamo stati pagati, finora ci abbiamo solo rimesso tanti soldi ma, nonostante questo, sono contento perché credo che questo film sia un documento importante. E poi da Schicchi, che nel frattempo purtroppo andava sempre più peggiorando perché, come sappiamo, lui aveva una forma di diabete molto forte ed era diventato quasi cieco, ho cercato mano a mano di allargarlo agli altri protagonisti di quegli anni come il grande Lasse Braun, questo personaggio secondo me mitico e misconosciuto, che addirittura nel '69 con il suo impegno dette un contributo notevole alla prima legge per la liberalizzazione della pornografia in Danimarca e così via, e sono arrivato anche a Marco per il suo apporto politico.
Marco Pannella aveva capito molto bene la forza anche popolare della pornografia legata alla liberazione sessuale. Diciamo che è stato quasi preveggente in questo. E poi, con la sua intelligenza, assieme a Schicchi hanno realizzato questo capolavoro assoluto politico/mediatico che è stata secondo me l'elezione di Cicciolina-Ilona Staller. Penso che tutto ciò debba essere rivalutato in un'altra ottica, non quella spacciata sempre come becera, vergognosa, ma al contrario come elemento culturale di grande portata.
Giudicando dagli eventi, anche da quello che sta succedendo ultimamente intorno al tuo lavoro, ritieni che ci sia un'involuzione delle libertà rispetto all'epoca raccontata dal documentario?
Certamente, c'è una sorta di nemesi storica. Nel mio documentario, all'inizio, Lasse Braun racconta tutto questo, cioè racconta come lui si fosse ribellato a qualcosa che considerava assolutamente assurdo: il non poter vedere rappresentato il corpo femminile o maschile... la nudità insomma. Parliamo degli anni '50 e '60. Ricordiamo che in quegli anni si andava in galera per queste cose, e non per chi producesse porno, ma anche per chi semplicemente detenesse qualche tipo di materiale considerato pornografico perché implicava la nudità.
Ricordiamo che la gente importava clandestinamente delle riviste e le donne si facevano mandare la pillola anticoncezionale dall'estero...
Esatto! Vivevamo in quel periodo lì. Adesso però con Facebook praticamente si è tornati a quel clima, si vieta addirittura la rappresentazione del seno femminile, del capezzolo. Il capezzolo censurato! Non so se ricordate la pecetta nera che si apponeva negli anni '50 e '60... ecco, siamo tornati a questo! Secondo me si tratta di una gravissima involuzione culturale cui noi dobbiamo assolutamente ribellarci perché non è possibile e, tra l'altro, comporta anche un altro aspetto: quello dell'autocensura. Io ho notato per esempio che molti miei amici, e non solo, pensano: "Ah, no. Quella cosa lì non si può fare..." - non si può fare che cosa?
Rappresentare il corpo nudo è una libertà che noi ci siamo conquistati con decenni di lotte, quindi voi non ci potete imporre questo! E' una cultura che non ci appartiene e che abbiamo superato, quindi perché? In base a che cosa? Adesso non mi si può venire a dire "perché Facebook è una cosa privata", perché non è così: è un servizio sociale messo a disposizione con un miliardo e mezzo di utenti al giorno! Attivi! In Italia milioni di utenti... E' il mezzo principale della rete attraverso cui noi possiamo comunicare. Quindi questa cosa è di una gravità assoluta, perché in questo caso non mi hanno solamente censurato il manifesto, mi hanno oscurato la pagina. La pagina di Facebook su cui abbiamo lavorato un anno e mezzo.
Anche altre pagine collegate al film hanno subito dei blocchi. Io sono stato bloccato per un mese! Questo significa che tutti i miei contatti, che sono primari per il mio lavoro, sono stati bloccati. Non solo: Facebook è collegato con Messenger, che è una piattaforma tipo Whatsapp, per cui viene utilizzato quotidianamente anche sul cellulare. E cosa succede? Che io posso vedere i messaggi, ma non posso rispondere.
Un bavaglio di fatto!
Un bavaglio e un danno anche personale quindi! Mi scrivono magari dei produttori, o comunque persone interessate al film, a cui io non posso rispondere. Loro non lo sanno, ma risulta che io li leggo e non rispondo. E l'immagine che mi viene in mente è proprio quella di Marco col bavaglio. Noi indipendenti abbiamo come mezzo esclusivo quello della rete, impedire la comunicazione nel momento in cui un film esce significa cancellarlo ed infatti il film non c'è più.
Insomma, siamo davanti a un vero paradosso: la censura di un film sulla censura...
Proprio così! Infatti questo mio lavoro è importante perché in un certo modo costituisce una chiave di volta: come si fa a censurare un'opera che parla di censura? E' un assurdo! Mette in luce le contraddizioni della nostra contemporaneità, del nostro sistema "liberale" innanzitutto ma anche del concetto di libertà al tempo della rete, perché di solito loro censurano una foto, un nudo. In questo caso però non stanno facendo questo, stanno censurando un lavoro che parla di persone che per anni hanno lottato proprio contro la censura. E perché tutto questo accade? Perché non ci sono delle regole. Tutto questo viene fatto da chi? Chi sono, dove sono quelli che prendono queste decisioni? Altra cosa grave: io non sono stato contattato da loro, loro mandano di default quelle loro frasette che dicono "abbiamo rilevato delle violazioni" rispetto alle loro regole, rispetto poi a che cosa davvero non lo so! Parlano di creare un "ambiente accogliente e rispettabile"... rispettabile rispetto a che cosa?
Fa un po' DC anni '70 una frase del genere in effetti.
No, è proprio la STASI secondo me, l'organizzazione di sicurezza e spionaggio creata nella Germania dell'Est. Uguale...
Sì, anche se l'espressione "ambiente rispettabile" evoca, visto che stiamo parlando dell'Italia, situazioni tipo "Boccaccio 70". Un atteggiamento di fondo bacchettone che continua ad auto-alimentarsi.
Come no, da Democrazia Cristiana e televisione degli anni '50 e '60, quando si censuravano le gambe delle Kessler in prima serata e si imponevano loro le calze scure e cose così insomma. E' davvero un ritorno al puritanesimo, all'oscurantismo di quegli anni. Io mi sento proprio umiliato nel mio lavoro, offeso... non so. Il non poter comunicare che io abbia fatto un film, che la gente non possa scegliere di andarlo a vedere, per me è una violenza. Non è possibile che tu mi vieti questo, fa parte delle mie libertà, è la mia libertà d'espressione che stai colpendo in maniera quasi scherzosa, perché chi sta decidendo questo? Un algoritmo? Dei ragazzi lì, a Dublino, come ho saputo, che stanno lì per due lire come in un call-center a vedere e decidere loro tra milioni di foto quali colpire?
E con quale competenza poi?
Infatti! Senza capire la storia, senza capire lo sforzo che noi stiamo facendo per fare questo film. E' allucinante!
Tornando a Pannella, abbiamo assistito, dopo la sua scomparsa, a varie commemorazioni. E' stato costruito dai media quasi una sorta di "santino", eppure vediamo che è censurato in qualche modo anche dopo la sua morte. Possiamo dire, anche alla luce dell'intervento di Pannella che c'è nel tuo film, del ruolo che ha nel concetto stesso della liberazione sessuale in Italia, che il vero Pannella è più scomodo oggi di una volta?
Beh, più che altro lo sono le idee di Pannella! E' la sua forza, la sua ribellione... è il suo anticonformismo che è scomodo. S'è creata per l'appunto la figura iconica di Marco Pannella che viene adesso acclamata. Quando io ho proiettato il film al "Quattro Fontane", dove avevo invitato un po' di amici, persone varie, è scattato subito l'applauso. Questo mi fa un piacere enorme, è chiaro, ma non è soltanto lui come figura, sono le sue idee, le sue battaglie, che noi dobbiamo portare avanti, altrimenti è come farlo morire un'altra volta. Farlo morire in maniera definitiva. Quello che dobbiamo coltivare è il messaggio libertario di Pannella.
Facendo un riepilogo: una persona che vuole vedere questo film segue la programmazione, si presenta al cinema è scopre che è stato tolto improvvisamente.
È esatto.
Come al solito manca l'auto-determinazione: indipendentemente dal contenuto del film io non avrei il diritto di vederlo. Secondo te da cosa deriva questa censura? Dal mercato che segue quella dei social network?
La reazione del mercato è molto semplice: un film oggi viene visto esclusivamente come merce. Non c'è più differenza tra un film costruito in maniera indipendente, senza possibilità economiche di promozione, e un qualsiasi film di intrattenimento. Questo che significa? Che se i primi giorni al cinema non funziona, cioè la gente non va, naturalmente viene spazzato via, viene eliminato. Ed è chiaramente una cosa illogica perché non si può mettere sullo stesso piano un lavoro che non ha grandi possibilità di promozione ma è comunque un prodotto culturale, italiano, di cui si è parlato, ha la sua forza, ma si basa esclusivamente sul passaparola, con un altro prodotto più commerciale. Sono due cose diverse, mi devi dare un minimo di tempo. Questa appunto è un'altra forma di censura, ancora più grave perché impedisce proprio al pubblico di vederlo. Non è possibile che siamo stati eliminati così. A parte il fatto che all'inizio hanno messo solo due spettacoli, il primo giorno solo alle 22.30 e gli altri due giorni alle 20.00 e alle 22.30, sempre relegando questo concetto di "porno" come qualcosa che si può vedere soltanto di notte.
La cosa buffa è che non è un film porno, è un film sul fenomeno del porno, sulla cultura del porno. E' stato quindi trattato allo stesso modo in cui negli anni '70 si trattavano i veri e propri porno relegati nei cinemini d'essai, di periferia, ad una certa ora. Questa vicenda possiamo dire che racconta molto sullo stato culturale del paese.
Assolutamente sì, perché come dicevo prima è la chiave di volta per comprendere questi meccanismi dato che mette in luce delle contraddizioni fondamentali. Anche perché non è un documentario costruito per un pubblico elitario, intellettuale, ma è anche un lavoro popolare. Tutti conoscono questi personaggi: Marco Pannella, Riccardo Schicchi, Cicciolina. Ha bisogno anche di una sala normale, non di essere ghettizzato immediatamente in piccoli circuiti... che poi non abbiamo avuto neanche quelli.
La cosa più grave è che ho anche saputo di un cinema, di cui posso tranquillamente fare il nome perché non me ne frega un cazzo, cioè il "Madison", che addirittura ha prima accettato il film, poi lo ha rifiutato per il manifesto, perché questo manifesto avrebbe dato fastidio agli altri film in programmazione, quelli di cartoni animati soprattutto perché frequentati per lo più da bambini. Quindi evidentemente è come se entrando nel cinema, vedendo questo manifesto - come se fosse chissà quale obbrobrio - il bambino venisse disturbato e quindi ce l'hanno eliminato. Vi rendete conto a che livelli siamo? Tanto più, e ora lo dico qua e lo denuncio, che uno dei responsabili del circuito cinematografico che ci ha penalizzato in questo modo - guarda caso! - in quegli anni gestiva le sale a luci rosse.
Questo è un aneddoto incredibile! Fantastico!
E' surreale! Lo vedi che è lo stesso meccanismo? Tra l'altro queste persone che decidono, così come Facebook, non hanno visto il film. Hanno deciso senza vederlo. Il circuito cinematografico, che ha molte sale, ed è l'unico circuito che dovrebbe salvaguardare un pochino il cinema di qualità, un cinema che comunque lotta in maniera indipendente, neanche lo vede. Di cosa stiamo parlando? Almeno vedilo, no? Si decide quindi in base a dei criteri puramente commerciali. Nessuno va a vedere questo film che parla del porno alle dieci e mezzo di sera, nel weekend, a giugno perciò nel periodo delle partite europee, quindi lo tolgo. Non me ne frega un cazzo! Che tu ci hai lavorato cinque anni a questa cosa qua non me ne frega niente. Punto. Decido così... e non solo ho deciso così, decido di toglierlo un giorno prima, improvvisamente. D'emblée. Di martedì quando, di regola, l'avvicendamento delle pellicole avviene da mercoledì.
Inquietante, davvero.
Io li dovrei denunciare per danni, dovrei denunciare per danni il "Giulio Cesare" perché, scusate, anche se avete impedito a dieci persone, cinque persone, tre persone, di vedere il mio film e non l'avete comunicato per me è un danno.
Per te è un danno ed è una violazione della libertà del cittadino di vedere quello che gli pare, fondamentalmente. Secondo te, a questo punto, specialmente per quanto riguarda la censura che il tuo film sta subendo nelle sale, chi non vuole che il film venga visto? Chi c'è dietro questa campagna?
C'è secondo me una cultura moraleggiante verso cui noi stiamo scivolando, un oscurantismo quasi religioso. Un oscurantismo laico/religioso terribile. La nostra cultura sta scivolando verso una melma da cui non so dove arriveremo. Anche perché manca completamente un dibattito culturale e intellettuale. Censurare un film che tratta concettualmente un fenomeno che è uno dei più pervasivi della società contemporanea significa veramente che siamo arrivati alla frutta... non so.
... Con il paradosso che poi effettivamente il porno è uno dei prodotti più acquistati, di consumo, da parte degli utenti in generale...
Ma sì, assolutamente. E' uno dei fenomeni sociali più pervasivi e tu, paradossalmente, mi vieti di parlarne da un punto di vista, ripeto, concettuale, serio. Di analisi. Perché non dovremmo analizzare questo fenomeno? Attraverso la pornografia passano tantissime istanze: politiche, religiose. Ma ci passa anche la letteratura, ci passa l'arte. E' un linguaggio, un linguaggio della contemporaneità e quindi bisogna analizzarlo, bisogna studiarlo, bisogna capirlo. Da dove nasce, che cos'è, come si è trasformato? Non si può parlare della pornografia oggi senza rendersi conto da dove si è partiti. E cioè dalla forza politica che aveva e come oggi si è trasformata. Parliamone! Perché mi vieti di parlarne?
Quali azioni intendete intraprendere adesso per cercare di reagire a questa censura di fatto che state subendo?
Ci dobbiamo chiaramente organizzare e tentare di fare più proiezioni possibile perché il pubblico lo possa vedere, poi magari lo possa anche criticare. Io tra l'altro dovrei anche affrontare un'altra cosa che è successa e secondo me è veramente inquietante, perché ci sono attualmente delle piattaforme che nascono, che sono pervasive e condizionano addirittura il mercato. Come MYmovies per esempio. MYmovies ormai è una specie di piovra nascosta sotto le sembianze di una cultura cinematografica che non è assolutamente tale. Loro sono gli unici che hanno scritto una critica assurda, perché dicono che non c'è un rapporto tra il mio film e la contemporaneità.
È evidente la censura che hanno operato: questa scheda così negativa del film è la scheda utilizzata da tutti i maggiori network. Da SKY allo stesso circuito-cinema che adotta come scheda introduttiva al film quella di MYmovies. Quindi la critica non è più fine a se stessa, non so come dire, ma diventa uno strumento per colpire un prodotto che probabilmente non approvano, per orientare i gusti del pubblico in qualche maniera, perché tutti gli esercenti, le manifestazioni, utilizzano la scheda di MYmovies. Io ho avuto dei danni pazzeschi anche con "Come mi vuoi", il mio film del 1996, laddove una critica negativa ha condizionato il lavoro. Intendiamoci, io sono d'accordo con la critica, figuriamoci, perché fa parte anch'essa della libertà.
Nel momento in cui io realizzo un'opera tu la devi criticare e sei liberissimo di farlo. Ma non che questa diventa l'unica scheda divulgativa e di ciò nessuno dice nulla perché MYmovies è diventato una potenza talmente forte che nessuno osa aprire bocca. Va' a controllare la mia scheda di MYmovies, leggi quello che c'è scritto e poi vai su SKY o su qualunque circuito... se tu vai al "Fratelli Marx" di Torino, la scheda è presa da lì. Questo va denunciato assolutamente. Perché loro utilizzano sistemi di comunicazione all'avanguardia rendendo il cinema nient'altro che merce e poi chiamano al loro interno delle persone, ragazzi laureati al DAMS o comunque che non hanno una base critica sostanziale; ma, ripeto, non è quello per me il problema, perché tu puoi tranquillamente dire che quello che ho fatto è orrendo, non ha valore. Va benissimo. Ma deve restare lì, non deve diventare una scheda divulgativa su tutti i network principali e su tutti i circuiti cinematografici. Ma stiamo delirando? Mi sento davvero in una gabbia.