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23/11/24 ore

Hollywood incorona finalmente Ennio Moricone. Con lui Leonardo Di Caprio, Tom McCarthy e l’esordiente Laslo Nemes



di Vincenzo Basile

 

Miglior film Il caso Spotligth di Tom McCarthy, con Michael Keaton e Mark Ruffalo, tesissima cronaca della scandalo dei preti pedofili, svelato dieci anni or sono dall’indagine del Boston Globe e condito dall’appello Hollywoodiano a Papa Francesco: «E' tempo di proteggere i nostri bambini».

 

Almeno quanto l’industria cinematografica americana, attraverso l’ Academy Award, suo principale strumento di propaganda commerciale e ideologica, con l’insostenibile alibi di un incomprensibile implicito primato dell’anglofonia, da sempre protegge i suoi prodotti dalla concorrenza straniera (definita tale da un punto di vista evidentemente anglofono–centrico ma in concreto Usa-centrico) ritenuta al confronto, evidentemente imbattibile. Per questo da arginare, ridimensionandola, all’interno di una selezione e di un riconoscimento che la rendano di conseguenza minore.

 

Il premio al Miglior Film Straniero fu dunque introdotto nel 1957. Prima di allora alle cinematografie di lingua diversa dall’inglese, era riservato solo un Oscar onorario. Fu proprio quello che all’epoca anni ricevettero, tra gli altri: Akira Kurosawa, Vittorio De Sica e Rene Clément. Il primo vero Oscar allo Straniero fu quello assegnato, appunto nel 1957, a Federico Fellini per La Strada.

 

 

Tutto ciò, doverosamente premesso, Miglior  Film Straniero è stato giudicato quest’anno Il figlio di Saul di Laslo Nemes, uomo di poche ma significative parole. Lo fu a Cannes l’anno scorso, durante l’intervista che ottenemmo a seguito della proiezione del film in sala e poi sul palco del Palmares, ricevendo quel Premio Speciale della Giuria che lo rimpose all’attenzione internazionale. Lo fu al Beverly Hilton Hotel di Beverly Hills per l’attribuzione del Golden Globe e lo è stato anche sul palco del Dolby Theatre di Los Angeles ricevendo l’Oscar per il miglior film straniero.

 

Limitandosi a ringraziare lo staff e il cast che ha diretto e che gli è stato costantemente complice durante la lavorazione e nelle successive fasi del percorso del film, nei festival in cui è stato proposto. Un’opera certamente non facile, che nulla, volutamente, concede alla spettacolarità, che rispetta puntigliosamente le scelte registiche, anch’esse impegnative e coraggiose, nell’ utilizzare una narrazione efficace quanto ardua da ricevere, dati i criteri di sceneggiatura e messa in scena.

 

Un Oscar che, dopo quello del lontano 1982, vinto dalMefistodi Istvan Szabo, ha provocato una reazione a catena di gioia e orgoglio sia a Budapest che in tutto il resto della nazione, l’Ungheria, spasmodicamente collegata per l’intera notte con il Dolby Theatre per un premio annunciato ma, fino all’ultimo, affatto scontato.

 

 

Per Di Caprio invece si è trattato di un atto dovuto, dopo le molte nomination andate a vuoto. Indecorosamente per l’Academy e inspiegabilmente, per il ruolo e il valore dell’attore nel contesto della cinematografia americana, ancor prima che internazionale.

 

L’attore, accolto e premiato da Julianne Moore, ha utilizzato il tempo dei suoi  ringraziamenti per lanciare un appello sul tema dei riscaldamento globale: «Per girare The Revenant abbiamo dovuto andare quasi al polo. Il 2015 è stato l'anno più caldo della storia, i cambiamenti climatici sono una realtà che sta accadendo adesso, dobbiamo smettere di procrastinare, bisogna agire per l'umanità e per le comunità indigene, per i figli dei nostri figli, le cui voci sono poste sotto silenzio dall'avidità di pochi». Concludendo: «Avevo la possibilità di farmi ascoltare da un pubblico di svariati milioni di persone e l'ho sentito come un dovere».

 

Hollywood ha forse voluto evitare per tempo l’ennesima assurda omissione,  come quelle clamorose avvenute nella storia del premio, nei confronti di Henry Fonda, Paul Newman e altri illustri, meritevoli artisti, clamorosamente lasciati a bocca asciutta per tutta la vita o quasi, nonostante memorabili performance, e poi pateticamente compensati alla carriera. Fatto sta che a Ennio Moricone, l'Oscar arriva a coronamento di sessant'anni di carriera, dopo cinque nomination sfumate e una statuetta consolatoria alla carriera nel 2007. Per la colonna sonora dell’americanissimo The Hateful Eight, ultimo western Tarantiniano.

 

 

Profondamente commosso, ricevendo il premio da Quincy Jones (che lo ha abbracciato sul palco chiamandolo "fratellino") il Maestro ha letto il suo appunto: "Buonasera signori, ringrazio l'Academy per il prestigioso riconoscimento. Il mio pensiero va agli altri candidati e in particolare allo stimato John Williams. Non c'è musica importante se non c'è un grande film che la ispiri, ringrazio quindi Quentin Tarantino per avermi scelto, il produttore Harvey Weinstein e tutta la troupe del film.

 

Dedico questa musica e questa vittoria a mia moglie Maria". A ottantasette anni, il Maestro ha ricevuto la sua seconda, entusiastica standing ovation due giorni dopo l’apposizione della Stella sulla Walk of Fame Hollywoodiana. Quel giorno aveva confidato alla stampa: "Ho sempre cercato di realizzare una colonna sonora che piaccia sia al regista che al pubblico, ma che soprattutto  piaccia a me, perché altrimenti non sono contento. Io devo essere contento prima del regista. Non posso tradire la mia musica".

 

 


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