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16/11/24 ore

Cannes 2014. In ognuno di noi c'é un mostro! Parola di Depardieu



Domiciliato dall'anno scorso in Russia per improvvise e sincere simpatie fiscali nei confronti dell'amico Putin, il Gerard nazionale è tornato a Cannes per promuovere il passaggio internet del suo ultimo film, per la regia di Abel Ferrara, Welcome to New York.

 

Nella pellicola JD interpreta il ruolo di Devereaux, un finanziere internazionale che aspira all'Eliseo. Il riferimento alla vicenda Strauss Kahn è dichiaratamente casuale ma se proprio qualcuno vuol vederlo beh, si può pure accomodare.

 

Al nostro eroe  piace il sesso, la coca e il bere e durante un viaggio alla volta della Grande Mela trasforma la business class in un alcova amoreggiando con quattro donne. Essendo uomo che non deve chiedere mai poi, una volta a destinazione, subito dopo la doccia mattutina, si butta sulla cameriera ai piani dell'Hotel di Manhattan in cui ha preso alloggio. La stessa che poi gli farà causa per violenza e ne otterrà un soddisfacente risarcimento.

 

Pur chiarendo subito di non aver nulla da spartire con il personaggio l'attore esprime solidarietà per i compulsivi sessuali e difende il film di Ferrara accusato di pornografia. Tiene inoltre a precisare che così come condanna la violenza sulle donne altrettanto, da attore normale, non potrebbe mai fare un film pornografico. 

 

"Siamo tutti compulsivi" ammette. "Io non giudico la moralità del mio personaggio". "Ma capisco la compulsione di certi impulsi e il fatto che possano farti impazzire sempre di più quando arrivano. Portare alla follia chi ne sia vittima".

 

Il produttore americano dal canto suo denuncia l'autocensura dei media francesi sul caso: "in Francia non si può parlare della storia recente, e' piu facile scrivere di Berlusconi o Bush".

 

Il film mescola sequenze soft core, in cui Deveraux fa sesso con donne consenzienti, con scene esplicite di violenze sessuali che coinvolgono sia la cameriera che in un flash back, una giornalista sua amica.

 

Ferrara a sua volta racconta di aver mostrato il film a Bertolucci e che il collega italiano gli ha fatto notare la la stessa verosimiglianza del suo lavoro con quello di Wharol, It's a fly-on-the-wall  'It is what it is!'

 

Christ Zois, il co-sceggiatore ha spiegato che durante la realizzazione del film ha consultato i suoi avvocati americani per prevenire problemi legali legati all'opera e che non ci sono state interferenze né da parte di Strauss Kahn (che dice verosimilmente di non aver visto il film) e che quindi se qualcuno (?) vorrà creare pubblicità gratuita al film, sarà benvenuto.

 

Da veterano del festival, l'attore ha anche dichiarato che il film non è realisticamente candidabile a nessuno dei premi in palio e per questo non è stato proposto in nessuna delle selezioni.

 

Dopo la prima on line a Cannes sono previste altre presentazioni  a Londra e negli USA seguite da conferenza stampa con Ferrara, il cosceneggiatore Zois, Jaqueline Bisset (nel ruolo della di moglie di Devereux) e del coproduttore Vincent Maraval.

 

 

Maps to the stars, annunciato come un film tra l’ironico e il sarcastico sulle nevrosi dei ricchi e famosi di Hollywood e della loro prole tossica e viziata, per i primi 50 minuti riesce ad annoiare nonostante qualche discreta esibizione di humor inglese.

 

I disturbi mentali non riescono a fare spettacolo nonostante siano tra i temi prediletti di Cronenberg e sia Julienne Moore che John Cusack e Pattinson ce la mettano tutta e facciano la loro più che discreta figura.

 

Poi improvvisamente, forse perché anche lui comincia a sbadigliare, il regista canadese comincia a cambiare genere passando al giallo, da quella che appariva come una commedia noir, e poi al thriller. Ma poi ci ripensa, torna indietro e continua come un loop monotono più che schizofrenico, come sarebbe più coerente sia con le premesse date che con la  propria poetica autoriale. Finalmente, quando non si aspettavano più sorprese, il colpo d’ala: l’annuncio che si precipita verso la tragedia!

 

 

Ma purtroppo è ancora un pò troppo presto, manca ancora un terzo della durata al finale; poco importa. La nemesi edipica si compie lo stesso e nella più scontata delle modalità. Ma lo si era appunto già previsto da almeno 20 minuti.

 

Qualcuno di autorevole una volta ha detto che nel cinema, il genio, dura al massimo una decina d’anni, poi si comincia a ripetersi. Si parlava appunto di registi.

 

La voce umana di Cocteau, ovvero la telefonata di Angela

 

La scelta di Sophia (Loren) di interpretare il più difficile monologo per attrice solista della storia del teatro (e delle sue trasposizioni cinematografiche), com'era facile prevedere, si è rivela, anzi si conferma, la più temeraria.

 

 

Tutto si può fare nel Cinema, persino l'inverosimile. Basta che funzioni. Eppure tutto l’impianto ha goduto di facilitazioni notevoli.

 

Innanzitutto l'ottima traduzione in napoletano di Erri De Luca che adatta la lingua alle corde dell'attrice, compresi due vaffà di cui si apprezza grandemente la sincerità delle intenzioni. Poi la trasformazione del monologo originale concentrato in una sola scena (la stanza da letto della protagonista) in un atto unico nel quale tre personaggi (arrivano l'amante, la cameriera e la rivale) si aggiungono alla protagonista e agiscono in più stanze e in differenti locations, sia in interni che in esterni. 

 

Elementi questi che, dilatando il campo d’azione e relazioni del personaggio, ne alleggeriscono le responsabilità di presenza in scena e quindi le pretese del pubblico riguardo l’espressività drammatica.

 

Nonostante questi aiutoni il confronto con i precedenti rimane però tutto a sfavore. Basta dare una scorsa su YouTube per vedere come hanno a loro volta risolto le cose Anna Magnani, la Proclemer e Adriana Asti in italiano, Simone Signoret in francese e la svedese Ingrid Bergman, in inglese.

 

Della disperazione per abbandono, l’estremo tentativo di riconquista dell’amato e la rassegnazione all’inevitabile lutto, Sophia fa un gran minestrone. Un dolore indistinto, pressochè didascalico, subentra alle efficacissime variazioni di pathos raccomandate da Cocteau nelle sue puntuali note di regia.

 

Al mediometraggio segue subito per fortuna la proiezione della versione restaurata di Matrimonio all’italiana che al confronto sottolinea la distanza tra le due prestazioni.

 

 

Il pubblico multilingue del Salone del Soixantieme diventa allora un’unica pancia-cuore-anima, nonostante (esclusi i non molti italiani) riceva solo attraverso i sottotitoli la profondità dei dialoghi, la comicità delle situazioni e l’intensità drammatica di uno tra i più noti capolavori di Eduardo.

 

Che l’altro Edoardo (Ponti) non sia certo il regista che fu  De Sica, che realisticamente neanche aspiri ad esserlo e che Sophia non abbia l’età di Angela è infine l’ultimo degli imbarazzi.

 

Ma basta assistere alla Masterclass condotta da Danyelle Heyman, la più apprezzata esperta di cinema italiano in Francia, per riconciliarsi con la Loren di sempre. Un’ora e mezza di indimenticabili confessioni, anche intime, di frammenti di carriera, di aneddoti e di ricordi per riconquistare subito il terreno perduto.

 

Ricompaiono Brando, Chaplin, Cary Grant e Frank Sinatra, Mastroianni e Belmondo, praticamente il main stream dell’ultimo mezzo secolo di cinema mondiale.Una stecca non basta a scalfire una leggenda. E'  successo a Pavarotti perché non può accadere ad  altri?

 

In chiusura di gionata la: Prima medaglia per l’Italia grazie a Lievito Madre, nella selezione Cinefondation, quella che raccoglie le opere degli allievi delle scuole di cinema.

 

 

Fulvio Rusuleo regista e sceneggiatore del Centro Sperimentale di Cinematografia, si aggiudica il riconoscimento con un cortometraggio che presenta un triangolo amoroso davvero fuori dal comune: un uomo, la sua compagna e un Blob lievitante che oltre a reagire danzando alla musica dal vivo è anche un audace seduttore di umani. Non sa ancora però, che dovrà fare i suoi conti con una temibilissima rivale.

 

Vincenzo Basile

 

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