Di Sergio Stanzani, scomparso avant’ieri, esponente di primo piano del partito radicale, che rappresentò ai massimi livelli interni e in sede parlamentare e nell’Associazione radicale “Non c’è pace senza giustizia”, Agenzia Radicale vuol ricordare quello che appare come il tratto più saliente del radicalismo italiano del secondo dopoguerra, il tratto che soprattutto lo ha contraddistinto dopo il 1967 e che l’informazione politica nazionale (o disinformazione?) ha costantemente ignorato, se non negli aspetti più epidermici, e sicuramente non compreso: quelli che ne hanno fatto un antagonista del sistema partitico italiano.
Di questa vicenda Sergio Stanzani è stato protagonista e ai principi che la hanno animata ha portato un contributo essenziale. Fondato nel 1955 da una scissione del Partito Liberale, nei primi anni sessanta sarebbe già scomparso dalla scena politica, se un piccolo gruppo intorno a Marco Pannella non ne avesse raccolto le bandiere e dopo qualche anno, nel 1967 per l’appunto, non si fosse dato un nuovo statuto fondato sulla prospettiva di unità laica delle forze della sinistra e comunque di quanti si riconoscessero in questo principio, l’opposto di quell’unità dei partiti laici che era stato aspetto essenziale del programma del partito nei primi anni della sua esistenza: una rivoluzione che si poneva su una sponda opposta all’impianto tradizionale di tutti i partiti, l’impianto leninista, afferrato da Mussolini per le finalità della rivoluzione nazionale e più o meno scimmiottato da tutti gli altri partiti, compresi proprio i liberali.
Era l’idea di un partito leggero, che viveva sulle iniziative politiche che poneva in essere, privo di burocrazie interne e fondato sulla militanza degli iscritti e sull’opera di libere associazioni che nel partito trovavano lo strumento per il raggiungimento delle loro finalità; un partito al quale chicchessia poteva iscriversi, senza nessun esame preliminare di requisiti (tanto per esemplificarne la portata dirompente. Non occorreva la fedina penale pulita o la non appartenenza ad altri partiti) e che rifiutava la giustizia interna sulla base di commissioni di disciplina e di punizioni varie fino all’espulsione: i dissensi andavano discussi nel confronto politico.
Sergio Stanzani ebbe un ruolo di primo piano nei sei mesi di dibattito interno da cui nacque questo nuovo statuto, che si proponeva come una sfida ai partiti del tempo e al regime dei partiti (già allora delineato) e che consentiva di dar vita a una formazione politica in grado di avviare grandi battaglie di rinnovamento, attraverso forme mirate e dure di contestazione, ma con le tecniche della nonviolenza. Una concezione politica che consentì ai radicali un ruolo di primo piano a partire dal sessantotto e nel corso degli anni settanta.
Nacque così il partito radicale di oggi, che aveva tratto la sua ispirazione dall’esperienza fatta nelle università italiane dall’Unione Goliardica Italiana negli anni del dopoguerra, dove i maggiori contrasti si erano rivelati proprio con la Federazione Giovanile Comunista Italiana, associazione di partito e di strumento per l’attuazione delle finalità del partito nel campo giovanile.
E Sergio Stanzani era stato esponente di primo piano dell’Unione Goliardica Italiana e (nel 1952 e nel 1953) presidente dell’UNURI, l’organismo nazionale nel quale convergevano tutte le associazioni degli universitari.
Le esperienze di quegli anni, in un clima di vivacità intellettuale e di passione politica profonda, hanno poi subito la reazione e il logoramento generato dalle strette del sistema politico nazionale e, come spesso abbiamo scritto su Quaderni Radicali e su questa Agenzia, dal fatto che il partito radicale in realtà non ha mai potuto, o voluto, tentare di coagulare una classe politica per costruire quel partito che quasi mezzo secolo fa era stato delineato e ha cercato in altri modi di azione lo strumento delle sue iniziative.
- Il ricordo di Gianfranco Spadaccia
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