“L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” sancisce la Costituzione all’articolo 27. Sulla base di questo principio, vigente nel nostro ordinamento, l’imputato non può essere trattato come fosse colpevole e subire la detenzione del carcere come anticipazione della pena.
L’abuso della custodia cautelare è un altro degli obiettivi che i Radicali mirano a ridimensionare in quanto altra malattia endemica della giustizia-ingiustizia italiana.
Il referendum mira questa volta ad abrogare le parole “o della stessa specie di quello per cui si procede” dal seguente comma: ”Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni”.E’ propriamente quanto sancito alla lettera c) dell’articolo 274 del DPR “Approvazione del Codice di Procedura penale”.
Nelle parole oggetto del quesito referendario si racchiude la “licenza di mandare in prigione chi si vuole, con una previsione talmente vaga che può essere giustificata in mille maniere” - sostiene Valerio Spigarelli, presidente dell’Unione Camere penali italiane, membro del Comitato promotore dei Referendum sulla giustizia.
Il meccanismo che porta ad applicare fuori misura la custodia cautelare nei confronti degli imputati scatta con un elevato automatismo e affonda le sue ragioni giuridiche nel pericolo della reiterazione del crimine. Una ragione del tutto demagogica che non tiene conto del fatto che solo i crimini ontologicamente pericolosi presentano degli elementi permanenti tali da giustificare l’arresto come misura cautelare applicata nei confronti dell’imputato. Fra questi ultimi devono ad esempio essere considerati quelli associativi della criminalità organizzata e quelli per i quali è necessario inibire dei pericolosi contatti.
In ogni caso la verifica delle condizioni che richiedono la necessaria applicazione della custodia cautelare devono essere valutate caso per caso e non possono essere presupposte. Esistono infatti misure cautelari alternative alla detenzione in carcere, in molti casi certamente più efficaci per la prevenzione dei comportamenti devianti, tra questi vi sono ad esempio i lavori di pubblica utilità o ancora gli arresti domiciliari.
Per i sostenitori del referendum la custodia cautelare deve tornare ad essere l’estrema ratio, una misura residuale applicata in casi eccezionali. E’ necessario intervenire per limitarne l’abuso, “perché attualmente migliaia di cittadini vengono arrestati e restano in carcere in attesa di processo per mesi, in condizioni incivili”.
D’altra parte i numeri parlano chiaro e attualmente oltre il 40% della popolazione detenuta è composta da persone in attesa di giudizio. Inoltre, occorre considerare che il nostro ordinamento già prevede una distinzione tra il carcere giudiziario e quello penitenziario in cui scontare la pena definitiva, di fatto così non è e le due realtà si trovano a convivere.
La condizione in cui versano i detenuti ha anche determinato la condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, per l’attuazione di trattamenti inumani e degradanti, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.
La custodia cautelare in carcere, applicata nel nostro Paese come anticipazione della pena, nei confronti di un imputato non ancora colpevole, rappresenta una “distorsione costituzionale” ribadisce Valerio Spigarelli.
E’ pur vero che chi subisce questa misura in maniera ingiusta ha poi diritto a ottenere un “equo indennizzo”, ma di fronte all’aver scontato la galera, quella vera, al punto da aver vissuto insieme a coloro che scontano la pena definitiva, vuol dire ben poco, per quelle “esistenze uccise dalla custodia cautelare”.
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