“Eliminare i tre anni di separazione obbligatoria prima di ottenere il divorzio” e diminuire quindi “il carico sociale e giudiziario che grava sui cittadini e sui tribunali in termini di costi e durata dei procedimenti”. Ecco un altro obiettivo della campagna referendaria promossa dai Radicali, per la quale si stanno raccogliendo le 500.000 firme necessarie.
La legge italiana che disciplina i casi di scioglimento del matrimonio è la n. 898 del 1970, in essa vi è un punto, all’articolo 3, in cui viene sancito il termine temporale dei tre anni tra la separazione e il divorzio. E’ qui il limite di cui si chiede la rimozione dal nostro ordinamento giuridico.
Anche in quest’ambito, purtroppo, l’Italia è indietro rispetto alla maggioranza dei Paesi europei. “L’alternativa al nostro pachidermico iter processuale è rivolgersi alle giurisdizioni straniere: quella ecclesiastica per la nullità del matrimonio o quelle della maggior parte degli Stati Ue per il divorzio lampo” sostiene Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione Avvocati Matrimonialisti italiani.
Minori tempi infatti sono richiesti dalle leggi vigenti in Francia, Inghilterra, Spagna e Romania, nei cui territori è possibile ottenere in circa sei mesi un divorzio immediato. Ciò determina che gli italiani interessati siano spinti molto spesso a trasferire la loro residenza altrove per sbloccare situazioni di stallo che possono protrarsi anche oltre i dieci anni, quando il divorzio non è consensuale.
Simili impedimenti hanno dei risvolti enormi nelle vite delle persone e anche dal punto di vista economico possono portare a delle spese spropositate. Andare all’estero, trasferire la propria residenza con questa finalità può portare invece a ridurre di molto le spese legali. E così l’Italia arriva a distinguersi anche per il “turismo divorzile” a causa di “una legislazione sul divorzio tra le più restrittive insieme a quella di Polonia, Irlanda del nord e Malta” come sostiene Alessandro Gerardi de la Lega italiana per il divorzio breve, tra gli organismi sostenitori dei 12 Referendum.
Da almeno tre legislature si parla della necessità di superare questo nodo giuridico che non rispecchia le reali esigenze sociali e ci caratterizza purtroppo ancora una volta per l’essere rimasti indietro. Il 7 giugno scorso il senatore Buemi ha presentato il DDL S. 811, dal titolo: “Modifiche della legge 1° dicembre 1970, n. 898, recante disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”.
Tale proposta va nella stessa direzione di quella del quesito referendario, in quanto prevede che se non si verificano particolari condizioni fra le parti e se non vi sono figli minori da proteggere, è possibile presentarsi davanti al giudice “semplicemente con l’accordo, compito del giudice è quello di verificare che le parti deboli del procedimento, siano tutelate adeguatamente”, sostiene lo stesso senatore Buemi.
In ambito comunitario poi, il Consiglio d’Europa, con il regolamento 44/2001, disciplinando il diritto commerciale e quello privato europeo, autorizza gli Stati che ne abbiano fatto richiesta ad accelerare l’adozione di norme che consentono agli interessati di divorziare in base alla sentenza pronunciata da un qualunque Tribunale dell’UE. Condizione necessaria è che i coniugi siano stabilmente residenti in quel Paese, ciò vuol dire da almeno 6 mesi. Seguendo questa procedura si potrà poi ritornare in Italia con una copia conforme della sentenza di divorzio che dovrà essere trascritta dall’ufficiale di stato civile italiano.
Cambiamo noi, gli altri referendum a cura di Francesca Pisano
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