“Giustizia giusta” vuol dire anche mettere un punto al fenomeno dei magistrati “fuori ruolo”. Questo propongono i Radicali nel terzo quesito referendario con il quale intendono interpellare i cittadini per dare una svolta alle storture che il nostro Paese vive nella materia giudiziaria.
Gli Italiani vengono quindi chiamati a esprimersi sull’abrogazione di tutta una serie di norme e articoli di legge attraverso i quali il nostro ordinamento consente ai magistrati di ricoprire funzioni nei vertici della pubblica amministrazione.
L’istituto della messa fuori ruolo comporta infatti che i giudici, in seguito a delibera del Consiglio superiore della Magistratura, possano essere dislocati nei vertici della P.A. per un periodo di tempo che sulla carta può raggiungere al massimo i dieci anni.
Conseguenza evidente di questo fenomeno è quindi il protrarsi di disfunzioni tipiche del potere giudiziario, così come viene concepito ed esercitato in Italia. Tra gli effetti vanno infatti considerati il prolungarsi dei tempi dei processi per la mancanza di organico, le prescrizioni dei giudizi, le ineluttabili ricadute sulla problematica delle carcerari e quindi sull’esercizio della giustizia.
I sostenitori del referendum evidenziano inoltre la grave conseguenza di una commistione tra alta amministrazione e magistratura che comporta l’esposizione dei giudici alle pressioni della politica e lo snaturarsi dell’indipendenza del potere giudiziario. In questo senso viene ad essere intaccato il fondamentale principio della separazione dei poteri dello Stato.
“Da tempo noi radicali riteniamo che sia venuto il momento di avviare una profonda e seria riflessione sui fuori ruolo e sulle distorsioni di un sistema che produce equivoche contiguità tra politica e magistratura, con gravissime conseguenze sull'indipendenza della magistratura stessa e sull'integrità delle prerogative della politica”, sostiene a riguardo Alessandro Gerardi, componente del comitato promotore dei referendum.
Un paradosso che fa da corollario a questo istituto è inoltre quello per cui, in molti casi, i giudici che hanno ricoperto ruoli di vertice nella pubblica amministrazione hanno percepito nel frattempo anche lo stipendio da magistrato; cosi come sono riusciti ad avanzare nella loro carriera giurisdizionale, pur non esercitandone di fatto le funzioni. In contrapposizione a ciò, quelli che invece sono rimasti di ruolo hanno visto moltiplicarsi il proprio carico di lavoro, dovendo assolvere anche alle mansioni dei colleghi impegnati su nuovi fronti.
Per porre un freno a una situazione sempre più caratterizzata da gravi scoperture di organico e dall’intollerabile lunghezza raggiunta dai tempi dei processi, lo stesso CSM è intervenuto con una circolare del 2008 per sostenere che occorre disciplinare questo fenomeno, fissando in maniera più stringente il termine del mandato fuori ruolo in considerazione delle funzioni che si vanno a ricoprire e delle leggi che regolamentano l’istituto.
Ci avevano provato a riformare questo groviglio di norme e privilegi, prima la radicale Rita Bernardini, con il disegno di legge n. 1224 e poi il deputato del Pd - dal passato radicale - Roberto Giacchetti, con un emendamento alla legge anti-corruzione, emanati entrambi nel corso della precedente legislatura. Il risultato è stato nel primo caso un immancabile nulla di fatto e nel secondo uno stravolgimento delle reali finalità dell'emendamento, col conseguente rimbalzare della problematica rimasta ancora irrisolta.
Non resta quindi che la via referendaria, per esercitare in pieno diritto la scelta di cambiare.
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