di Gerardo Mazziotti
La drammatica migrazione verso l’Europa dai paesi mediorientali e, in particolare, dall’Africa e l’emigrazione italiana dei secoli scorsi sono due fenomeni completamente diversi. E dicono una sesquipedale sciocchezza quanti sostengono che “ anche noi siamo un popolo di migranti”.
La Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare venne aperta per un solo mese, dal 9 maggio al 10 giugno del ’40, giorno della nostra entrata in guerra. Gravemente danneggiata dagli eventi bellici venne ricostruita e aperta il 7 luglio del 1952 come Mostra del Lavoro Italiano nel Mondo per narrare, non più la conquista delle colonie ormai perdute a seguito della sconfitta militare, ma la storia della emigrazione italiana nei cinque continenti e di documentare il contributo dei nostri connazionali allo sviluppo dei paesi che li accolsero.
Alla Mostra vennero allestiti i padiglioni dell’America Latina, dell’Oceania, dell’Egeo, dell’ Africa e di alcuni paesi europei. Del padiglione dell’America del Nord ci occupammo Carlo Cocchia e io.
Nelle varie sale raccontammo, con foto, lettere, stampe e documenti vari, la storia di Filippo Mazzei che, amico di Jefferson, contribuì alla stesura della Costituzione del 1776 “ Tutti gli uomini sono stati creati uguali (…) e hanno il diritto alla felicità”.
Documentammo la storia di Paul Giusti, fondatore della città di Buffalo nel 1657, di Fiorello La Guardia, sindaco di New York, di Paul Giannini, fondatore della Bank of America, di Angelo Rossi, sindaco di San Francisco, del senatore John Pastore e del giudice della Corte Federale Juvenal Marchisio e della moltitudine di italiani diventati sindaci, governatori, giudici, professionisti, sportivi, attori, cantanti, imprenditori e giornalisti di successo.
E documentammo anche la storia dei mafiosi italo-americani combattuti da Giuseppe Petrosino, il mitico poliziotto che pagò con la vita la sua battaglia contro la criminalità.
Nel cinema all’aperto venivano proiettati ogni sera documenti filmati su questi italiani famosi. Su Rudy Valentino, in modo particolare, cui dedicammo una sala con i costumi di scena dei suoi films…
E raccontammo il soggiorno newyorkese di Giuseppe Garibaldi, dopo la sconfitta della repubblica romana del 1848, e della fabbrica di candele messa su per sbarcare il lunario, consigliato dell’amico Antonio Meucci, inventore del telefono, emigrato anche lui a New York; ma la fabbrica fallì dopo alcuni mesi e Garibaldi fu costretto a tornare in Italia, accolto dai Savoia. Che finanziarono la sua spedizione dei Mille per conquistare il Regno delle Due Sicilie. Chissà se la storia avrebbe avuto un altro corso se la fabbrica di candele fosse andata bene.
E siccome le finalità della Mostra erano volte al presente e al futuro vennero organizzati proficui incontri con il mondo culturale, politico, artistico e imprenditoriale degli italiani nel mondo. E sarebbe stato un grande beneficio se fossero continuati.
Ma la grande sabbia mobile che è Napoli inghiottì anche questa straordinaria iniziativa, che, dopo due anni di vita, cessò la sua attività. E iniziò il degrado inarrestabile della Mostra d’Oltremare, che non ho mancato di denunciare in numerosi articoli sui quotidiani cittadini e nazionali.
Qualcosa di simile è “La nave della Sila, museo narrante dell’emigrazione” realizzata da Mirella Barracco e da Gianantonio Stella nel 2005 nel Parco Old-Calabria nel cuore della Sila per colmare un ingiustificabile vuoto di memoria storica e civile del movimento migratorio italiano…
Consiglio di visitarla per avere conferma che l’emigrazione italiana non può essere omologata con il drammatico, e spesso tragico, fenomeno dei migranti che continuano a volere sbarcare in Italia.
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