Di seguito la traduzione di Sara Garbagnoli, dell'associazione radicale Certi Diritti, del testo che la ministra verde francese Cécile Duflot ha fatto pubblicare sul numero di Libération in edicola oggi.
E' successo quasi dieci anni fa, un sabato di primavera, a Bègles. Noël Mamère aveva appena celebrato il primo matrimonio tra persone dello stesso sesso a sostegno delle richieste formulate da numerose associazioni. Il partito degli ecologisti ha allora condiviso l'orgoglio che uno di loro avesse il coraggio di fare disobbedienza civile per difendere una giusta causa.
Il Primo Ministro allora in carica, Dominique de Villepin, volle pronunciare lui stesso la sanzione contro l'audace. I politici eletti e i sindaci, che dichiarano oggi di voler disobbedire, erano allora scatenati contro di lui in nome dell'"ordine repubblicano" offeso. Curioso rovesciamento della storia: oggi invocano la libertà di coscienza per meglio potersi opporre al progresso del diritto delle persone.
Per me le cose sono chiare: la libertà di coscienza dei sindaci non può intralciare la libertà di vivere in accordo con il proprio cuore, l'uguaglianza di fronte alla legge o la fratellanza in seno al nostro Stato. Sindaci e assessori che celebrano i matrimoni agiscono in quanto ufficiale dello stato civile. A tale titolo, essi non rappresentano né i loro elettori, né loro stessi. Rappresentano lo Stato e devono applicare la legge.
Iscrivendo il «matrimonio per tutti» all'ordine del giorno del Parlamento e intendendo accordare il diritto all'adozione alle persone gay e lesbiche, il governo si impegna a realizzare un progresso importante. Una tale legge mira né più né meno a lasciare l'ambito dell'arbitrario e della discriminazione per allargare la sfera dell'uguaglianza dei diritti. La storia offre poche occasioni di far avanzare in modo decisivo i diritti degli individui. Quando lo fa, ciascuno deve pronunciarsi secondo coscienza.
La sinistra, fedele alla sua tradizione di emancipazione, ha proposto il riconoscimento di un nuovo diritto. Sono orgogliosa di far parte della maggioranza che sostiene questa riforma: matrimonio per tutti e dappertutto. Perché nessuna delle ragioni che sono invocate contro di lei è fondata o coerente quando la si esamina con rigore e onestà intellettuali. Gli argomenti sono noti, dibattuti da molti anni.
Coloro che sostengono di condannare il «matrimonio per tutti» senza condannare l'omosessualità sono incoerenti. Occorre che riconoscano che mantenendo il matrimonio per i soli eterosessuali, essi difendono il perdurare di una discriminazione fondata sull'orientamento sessuale. Chi difende una tale posizione deve avere coscienza del fatto che taccia l'omosessualità di illegittimità. Dicono a molti: «Il vostro modo di vivere è scandaloso, immorale, scioccante, contrario al buon costume». Si invitano nella sfera privata di altri e pretendono tracciare nella sfera pubblica le frontiere dell'uguaglianza, separando buona da cattiva semenza.
Milito da troppo tempo in favore di questa rivendicazione per ignorare che essa solleva forte opposizioni. Lungi dal condividerle, le considero prevedibili. Gli oppositori al «matrimonio per tutti» hanno il diritto di far sentire ciò che ritengono essere i loro argomenti. Ma che essi si richiamino ad un tradimento dell'idea di democrazia è più sorprendente. Osservo, poi, con costernazione davanti a tanta malafede, che spesso sono gli stessi che rifiutano categoricamente di pensare ad un referendum per uscire dal nucleare, esigendo, tuttavia, un referendum sul «matrimonio per tutti».
Come se il dibattito non avesse avuto luogo già da molti anni. Come se una tale riforma non fosse stata al cuore della campagna dei partiti di sinistra che hanno, tutti, sostenuto un tale avanzamento di diritti. Come se un dibattito vecchio di più di vent'anni prendesse di sorpresa la società civile.
La verità è semplice: non c'è nessuna forzatura o precipitazione nel fatto di iscrivere un tale testo all'ordine del giorno del Parlamento. Non c'è alcun oltraggio intentato ai diversi culti che giustificherebbe il fatto che le principali religioni si mobilizzano contro il nostro progetto. Al contrario, io dico ai credenti con tutta tranquillità: come potreste essere minacciati da un testo di legge che mira a ridurre l'ingiustizia?
Tengo ad aggiungere una cosa, in risposta a coloro che si stupiscono di vedere gay e lesbiche domandare gli stessi diritti e affermano «perché volete essere come gli altri quando siete differenti?». Io sono eterosessuale. Non l'ho scelto, come colui che si innamora di un uomo o colei che si innamora di una donna. Sono anche madre, e la dolcezza di una mano posata sulla fronte di un bambino o la tenerezza con la quale si racconta una favola prima di addormentarsi è la stessa, si sia eterosessuali o omosessuali. A mio parere, accordare il diritto al matrimonio e all'adozione a tutti non è un'ingiunzione a "rientrare nella norma".
Viceversa è un modo di affermare che le persone omosessuali non devono chinare il capo, che le loro unioni non sono di serie B, che né la loro sessualità, né i loro amori sono vergognosi, che il tempo in cui dovevano vivere nascosti è finito, che il processo sulla pericolosità nel crescere figli non ha ragion d'essere. Noi riaffermiamo ciò che riteniamo essere un'evidenza condivisa: le persone omosessuali hanno uguale dignità, ergo devono avere uguali diritti.
Due donne, due uomini possono amarsi. Due donne o due uomini possono crescere dei figli. Ciò che i nostri occhi già vedono e la nostra testa già capisce, ciò che i nostri cuori ci dicono, la legge lo deve permettere.
(da certidiritti.it)