di Francesco Durante
(da Il Mattino)
Il libro si intitola «Diario di viaggio. L’Italia e l’Europa, ambiente e popolazione. Le regioni italiane»; l’ha edito quest’anno Zanichelli e ne sono autori Manlio e Federico Dinucci e Carla Pellegrini. È un corso di geografia per la scuola media e si tratta di un’opera di nuova concezione, capace di prolungarsi su internet grazie a una serie di supporti e aggiornamenti esterni on line. L’editore lo propaganda come testo che mette al centro i problemi ambientali e sociali, e che insomma presenta «la geografia del ventunesimo secolo», e lo fregia dello slogan «10 in leggibilità». Come vedremo, però, forse la «leggibilità» non è tutto.
Al capitolo su Napoli si legge fra l’altro: «Il tasso di disoccupazione è fra i più alti d’Italia, specialmente in seguito al processo di deindustrializzazione, completato negli anni ‘90 con la chiusura del centro siderurgico di Bagnoli, all’estremità occidentale della città. Un altro grave problema deriva dalla scarsa propensione all’investimento di lungo periodo, dovuta alla presenza della camorra, un’associazione criminale organizzata simile alla mafia, che spesso estorce denaro a imprenditori e commercianti».
Che dite, ci può stare? Beh, sì: ci può stare. Come, in fondo, ci può stare anche quest’ulteriore paragrafo: «Dal punto di vista demografico, Napoli è caratterizzata da un’altissima densità residenziale. Tale sovraffollamento ha conseguenze spesso drammatiche sul traffico e sulle infrastrutture urbane (rete idrica, servizi al cittadino, etc.). Per questo motivo il cuore della città ha cominciato a spopolarsi, anche a causa della parziale inagibilità di molti edifici, causata dal terremoto del 1980».
A questo punto, tuttavia, viene la curiosità di andare a vedere che cosa si scrive a proposito di altre realtà. Lasciando da parte le regioni del Nord e del Centro, occupiamoci almeno di quelle altre città e regioni meridionali che, notoriamente, non sono meno problematiche di Napoli. Per esempio, di Palermo. A pagina 283 leggiamo: «Già a partire dagli anni ‘50, la città ha conosciuto uno sviluppo edilizio di vasta portata, spesso legato ad attività speculative gestite dalla mafia. L’area della Conca d’Oro è oggi largamente cementificata e l’espansione incontrollata dell’abitato impedisce qualsiasi allargamento del porto, producendo notevoli danni economici. Una parte del patrimonio edilizio versa comunque in condizioni di forte degrado. I quartieri popolari della periferia sono ancora largamente privi di infrastrutture, mentre molti palazzi del centro storico sono in rovina o inagibili».
Ci può stare anche questo, ovviamente, benché effettivamente non si capisca per quale curiosa ragione, quando si parla di camorra a Napoli, si senta il bisogno di definirla con precisione – «un’associazione criminale organizzata simile alla mafia, che spesso estorce denaro a imprenditori e commercianti» – mentre quando si parla di mafia a Palermo la cosa fila via un po’ alla svelta e sembra quasi un fenomeno risalente a oltre mezzo secolo fa, agli anni ’50 della speculazione edilizia.
E desta ancora più forti perplessità il fatto che, nel capitolo dedicato alla Calabria, non viene fatto alcun riferimento alla ‘ndrangheta (parola che, anzi, non compare proprio), mentre anche sugli altri, non banali problemi di quella regione si tende a sorvolare. Si dice per esempio che «l’industria è limitata e, in certi settori (alimentare, del legno e della carta, tessile), ha compiuto passi indietro», ma comunque il tono risulta improntato a un certo ottimismo: «A Gioia Tauro c’è il maggiore porto commerciale per il traffico di container d’Italia. Il turismo è un settore economico in espansione, grazie alle grandi attrattive della regione».
Ricapitolando: a Napoli c’è la camorra, in Sicilia c’era la mafia, in Calabria non c’è la ‘ndrangheta (sarà finita tutta in Lombardia?). Inoltre in Puglia – quasi ce lo scordavamo – non c’è mai stata la sacra corona unita. Tutto ciò detto, non so se abbiamo fornito materia di approfondimento all’osservatorio comunale sulla tutela del buon nome di Napoli.
Senza fare drammi, direi comunque che a sfogliare questo nuovo manuale di geografia non si ricava una sensazione di grande equilibrio ed equanimità. Magari sarà solo una questione di sfumature, ma l’impressione è che anche in queste pagine si confermi una certa diffusa abitudine a calcare un po’ la mano ogni qual volta si parla di Napoli. Non è una bella cosa, e ancor più preoccupante è che ci si senta autorizzati a trasmetterla, questa diffusa abitudine, anche alle nuove generazioni.
(da Il Mattino)