Affrontare un discorso esaustivo rispetto alla definizione dei modi in cui l’orizzonte europeo sta rapidamente mutando non può fare a meno di includere una rapida scorsa a quello che diviene un indicatore di sempre maggior valore rispetto all’evoluzione sociale: l’utilizzo del WEB.
Se è vero come è vero che la comunità europea tutta, come il resto del mondo, continua un percorso di crescita nell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione a tutti i livelli è vero anche che la frammentazione intra ed inter-stato genera un quadro complessivo problematico, di difficile comprensione e definizione, come è di difficile soluzione per una qualsivoglia istituzione che decida di affrontarlo.
Sicuramente il web è potenzialmente un luogo di espressione dei diritti del cittadino, uno strumento di partecipazione alla vita democratica di un paese e un potente mezzo di aggregazione, di diffusione ed elaborazione di idee ed informazioni, ma può essere tutt’altro: da strumento di propaganda e falsificazione ad amplificatore delle follie più originali; da strumento di protesta fine a se stessa, di vilipendio o sterile polemica a strumento di distrazione di massa.
La garanzia dei diritti di cittadinanza digitale in uno stato moderno si può paragonare a quella del diritto all’istruzione nel secolo scorso e l’attendere da parte delle istituzioni a questo onorevole onere sta oltrepassando varie altalenanti fasi come, del resto, il suo epigono appena definito ha avuto modo di fare nella storia recente.
In ognuno dei principali stati europei la lotta alle varie forme di “isolamento digitale” partiva da storie diverse e viaggiava a diverse velocità, ma da una prima politica che mirava semplicemente ad aumentare il numero degli accessi fisici al web per gli utenti i rappresentanti dei vari stati, con la Dichiarazione di Riga del 2006, “ICT for an inclusive society”, sono passati ad un approccio rivolto di più collettivamente verso l’accessibilità e quindi l’inclusione sociale di quelle categorie “a rischio” che, per un motivo o per un altro, non hanno sufficienti “skill” per usufruire dei propri diritti digitali.
Da un quadro dei paesi principali dell’Unione, per quanto riguarda sia la quantità che la qualità degli accessi, viene fuori il peso delle politiche adottate dalle varie istituzioni e anche la risposta delle popolazioni agli stimoli dell’alfabetizzazione al web.
Prima di consultare i dati andiamo a conoscere le griglie che la ricerca sociale ha delineato nel definire gli indicatori del Digital Divide. Sia negli Stati Uniti che in Europa sono state individuate delle correlazioni tra età, sesso, istruzione, reddito, partecipazione politica e uso di internet. In pratica l’utilizzo della rete in assoluto è più diffuso fra le nuove generazioni e leggermente più alto nei maschi, ma muta da un utilizzo più orientato alla fruizione di servizi in Streaming e Social (attività che richiedono una “Digital Skill” più bassa) ad uno più teso all’utilizzo di sevizi complessi e di strumenti di ricerca ed informazione (attività che richiedono una skill più alta) in funzione del livello di istruzione, di reddito e di analfabetismo funzionale. Inoltre, sono le persone che già hanno una tensione verso la cittadinanza attiva e la fruizione completa dei propri diritti politici che fanno un uso pieno e consapevole delle risorse che l’ICT (information and communication technology) mette a disposizione...
- Il "popolo della Rete" (televisiva) di Grillo e Casaleggio (intervista a Roberto Granese - Agenzia Radicale Video)
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