Sull’Unità del 7 luglio un paginone intitolato “Vi affascino col male” era dedicato a Walter Siti, vincitore dello Strega 2013 con 'Resistere non serve a niente'. Il romanzo ruota attorno a un giocoliere dell’alta finanza e lascia evaporare la distinzione tra bene e male nei “buoni sentimenti” del protagonista che restano incerti e irrisolvibili nel confondere soldi puliti e sporchi senza distinzione.
Il secondo posto è toccato a 'La colpa dei padri' di Alessandro Perissinotto. Il protagonista “scopre” di avere un doppio con cui dover fare i conti che è l’esatto opposto dell’altro con cui fino ad allora ha vissuto. Non è figlio di un dirigente della Fiat ma il figlio naturale di due terroristi morti in un incidente di macchina inseguiti dalla polizia negli anni settanta e coi quali era al momento dell’incidente che gli ha fatto perdere la memoria.
La doppia identità del personaggio - che come figlio adottivo di un ex dirigente sta dalla parte dei padroni, e in quanto figlio naturale di due giovani allo sbaraglio da quella delle vittime - fonde assai bene gli ultimi 40 anni della storia del nostro paese alla realtà attuale senza proporre vie d'uscita. Un martirizzarsi anche se diverso non si discosta per nulla, nella sostanza del corpo letterario, da quanto rappresentato dal protagonista del romanzo di Siti, matematico mancato, forte di un Edipo irrisolto.
Su queste premesse, la copertina, azzeccatissima, del libro di Romana Petri, 'Figli dello stesso padre' - dove l'uomo senza testa che volta le spalle, braccia e mani abbandonate lungo i fianchi in evidente segno di sconfitta evoca subito il ’68 - associata a un articolo di Michele Lauro su Panorama ci aveva portato fuori strada.
Risalendo al lavoro di Massimo Recalcati, 'Il complesso di Telemaco: Genitori e figli dopo il tramonto del padre' - dove l’autore spiegherebbe l'intuizione di Goethe che “nel bene e nel male, per possedere davvero ciò che abbiamo ereditato dal padre dobbiamo riconquistarlo” - Lauro sosteneva che questa è anche alla base di Figli dello stesso padre della Petri.
Ma se la nostra contemporaneità non riesce a separarsi dai padri quando raccontata da autori uomini, la scrittura femminile sa spostarsi su sponde più fruttuose. Strumentalizzando le stesse riflessioni di Scalfari che, su Repubblica del 24 marzo, nel lamentare la mancanza dei padri si è, però, lasciato sfuggire che «la causa della scomparsa della figura del padre è l'emancipazione della donna e la perdita della trascendenza, due elementi fondanti la modernizzazione e la laicizzazione (...) ma una società non può vivere senza modelli (...) e ci sono e sempre più ci saranno donne in grado, come e più degli uomini, di darsi carico dell'altrui, molto più dell'uomo (...) Dunque l'autoritas paterna, col suo corredo di giustizia, comprensione, regole condivise, caritas e pietas non sarà appannaggio soltanto maschile».
E questo è esattamente quel che emerge dal testo della Petri. I due “figli dello stesso padre”, un artista di successo che ne esorcizza la morte psichica in una mostra dal titolo “Rigor Mortis” e un brillante matematico appassionato allo studio delle formiche, sono entrambi modernamente protesi al superamento dell’Edipo.
Al contrario dell’auspicato “ritrovamento” da parte di certe scuole psicanalitiche, tutta la narrazione si articola sulla dinamica della separazione dal padre in questione per la conquista da parte dei figli di una identità altra e diversa.
Nella sigaretta che Germano sbriciola alla fine del libro tra le mani c’è l’impossibilità del ritorno del ’68. Se ne libera come da una droga mentre il suo pensiero si muove verso una immagine nuova di donna suggeritagli dal fratello con cui si è riconciliato.
Quel fratello Emilio che ha sempre creduto tenacemente che tra loro qualcosa di nuovo potesse nascere. E che nelle ultime pagine riesce a far esplodere nei loro corpi adulti fanciulleschi affetti che si toccano liberati dai vecchi rancori. Un libro caldamente suggerito a tutti gli intellettuali rimasti ingessati nei falsi miti.
Giovanna Bruco