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20/11/24 ore

Parigi 2024: le olimpiadi dell'effimero


  • Giovanni Lauricella

Giorni fa mi trovavo nella galleria Minima Arte Contemporanea di Mario Tosto a parlare di Renato Nicolini insieme a Claudio Bianchi e Claude De Dimanche per rievocare gli accadimenti di una volta come dei reduci di un passato pieno di significati che in diversa misura avevamo vissuto. Ovviamente si è parlato delle proposte culturali avvenute a quel tempo, della sorprendente spettacolarità del cinema alla basilica di Massenzio e del mitico festival dei poeti a Ostia sulla spiaggia di Castel Porziano ecc.

 

Quell'effimero di cui ha tanto a fatto parlare anche all'estero e che ebbe gran successo in riedizioni estive in alcuni paesi europei.

 

Non so se Renato Nicoloni avesse preparato un piano simile delle olimpiadi a Parigi ma sta di fatto che sembra che dall'aldilà abbia pilotato il progetto d’oltralpe.

 

I tempi sono cambiati, tutto costa più caro, meno che le guerre in corso che in varia misura ormai fanno parte del bilancio economico di ogni stato occidentale che sorprendetemene si ritrovano con meno soldi da spendere su tante cose necessarie e non parliamo del  ludico, è forse questa la motivazione delle tipologie d'architettura che vediamo proporre a Parigi per le Olimpiadi.

 

La “belle epoque” dei grandi e lussuosi stadi che facevano da richiamo per spettacolarità a tutte le olimpiadi che abbiamo sin qui visto danno il passo a una nuova concezione che potrebbe definirsi povera. Non come l'arte povera che usava materiali ordinari per realizzare le opere ma povera in termini finanziari, nell'architettura condizionata dal  risparmio economico senza togliere nulla alle funzionalità necessarie.

 

Così si è pensato di collocare una struttura mobile, uno stadio smontabile proprio sotto il monumento più famoso di Parigi, la Tour Eiffell in una di quelle strade ad alto effetto prospettico, proprio come fece Renato Nicolini che in una riedizione dell'estate romana piazzò lo schermo davanti il Colosseo sfruttando la prospettiva altamente spettacolare di via dei Fori Imperiali. 

 

 

 

Progettato dallo studio inglese Gustafson Porter + Bowman, lo stadio sotto la Tour Eiffell è vincitore del concorso indetto nel 2018 dalla Ville de Paris, riconnetterà attraverso un progetto unitario la sequenza di spazi arredati, pedonali e carrabili, che i visitatori percorreranno tra il Trocadéro e l’École Militaire. 

 

Appartiene a una concezione costruttiva innovativa che sta prendendo piede negli studi di progettisti d'avanguardia, si riconosce da questa sigla OnE, in pratica è un tipo di progettazione multidisciplinare volta a soddisfare varie esigenze.

 

Appoggio appieno l'idea di non fare delle cattedrali dello sport con l'intento di rilanciare le zone dove vengono costruite, un gigantismo che solo in manutenzione costa cifre talmente alte che sono difficili da mantenere nel tempo.

 

Basti ricordare il Vigorelli romano, il Velodromo Olimpico che avevamo all'Eur demolito perché, cosa strana, inutilizzato. Di quel gioiello di perfezione tecnica invidiato in tutto il mondo dell'arch. Cesare Ligini è rimasto solo il nome della strada “via del Velodromo” diventata famosa per il consumismo sfrenato di altri sport che avvengono nella vita notturna con donne dell'est europeo e africane.

 

Meno tragica, perché non demolito, ma molto più straziante è la gestione dello Stadio Flaminio, gioiello degli architetti Pier Luigi e Antonio Nervi, che pare sarà “riqualificato” termine sibillino che spero non serva a coprire sorprese che non abbiano niente a che vedere con lo sport.

 


 

Opere realizzate negli anni '60 quando in Europa si viveva la “belle epoque”, o il vituperato boom economico, perché non stavamo in guerra come adesso e si faceva di tutto e di più, a differenza degli USA che erano impegnati nel Vietnam.  

 

Si era, a paragone di adesso, grandiosi, si direbbe opulenti a rimproverarne lo spreco, si facevano piani cittadini e grandi opere, cose che adesso che condanniamo ciò che è divisivo causerebbe l'insurrezione, tanto siamo soggezionati dal sociale, dall' ecologia, dalla paesaggistica e dalla conservazione delle preesistenze, il tutto sotto la sorveglianza massiva di una burocrazia mastodontica che come diceva l'architetto Paolo Portoghesi “… non ti danno nemmeno l'autorizzazione di fare la copertura di un canile.

 

A differenza dello stadio sopra citato per le olimpiadi parigine sono in via di realizzazione tantissime opere  di cui mi riserbo di trattarle approfonditamente in seguito. Di certo appare molto cambiata l'architettura europea volta più a criteri necessari e più rivolti a un uso che non sia quello dei grandi eventi. Il contrario di quello che avviene in Arabia o in Oriente, e prevalentemente in Cina, i paesi forti, dove l'architettura dello spettacolo continua ad essere un loro emblema espressivo a dimostrazione che a loro l'economia va bene. 

 

Già a Dubai, ormai il Burj Khalifa di 829,80 metri, aperto al pubblico nel 2010 è il grattacielo più alto del mondo, ha 20 anni dall'inizio della costruzione, è già vecchio e i nuovi e straordinari edifici cinesi ci fanno capire che il testimone del costruire è passato in loro mani da diversi decenni.

 

Sono passati 44 anni da quando venne acclamato il Post modern in quella Biennale di Venezia dal curatore Paolo Portoghesi che criticava l'architettura che si era fatta sino ad allora, ritenuta esagerata e inutile e pare che l'indirizzo scelto a Parigi sia un ulteriore conferma anche se in termini molto differenti.

 

 


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