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02/05/24 ore

I pittori di Piazza Navona


  • Giovanni Lauricella

Uno tra gli aspetti più folkloristici di Roma erano i pittori di Piazza Navona che rappresentavano un riuscito esempio d'alternativa alla grama vita a cui molti giovani erano destinati.

 

Forse è sufficiente citare Jonathan, un sardo da poco scomparso, che tra gli Hippies o i Freaks, meglio conosciuti come fricchettoni,  degli anni '70-'80 ha contribuito al mito bohèmien di questa piazza con quel leggendario quanto assurdo ed ecclettico locale chiamato «Jonathan's Angels» in via della Fossa, aperto dopo un ristorante vicino al tempietto della Pace.

 

Facile immaginarsi che fenomeno di libidine scatenava in una città impiegatizia come Roma e per i turisti in cerca di curiosità che ben presto apprezzarono il Jonathan's Angels, pieno di stravaganti arredi e pazzesche immagini sui muri.

 

Sicuramente Jonathan è stato il più fortuanto di tutti: ho sentito dire che si comprò pure una casa proprio a piazza Navona, ma anche altri pittori probabilmente destinati alla fame hanno risolto la vita, o, come si diceva una volta, “hanno svortato”.

 


 

Bene, tutto questo, come tutte le belle cose, non durò a lungo: i “navonari” si moltiplicarono, divennero tantissimi; la piazza era occupata interamente da cavalletti e mucchi di quadri; con il tempo si fecero largo i furbi e i truffatori che smerciavano fotocopie, quadri industriali, cineserie ecc.

 

In più si aggiunse lo scandalo delle bancarelle della famiglia Tredicine, per cui, dopo un drammatico periodo si arrivò a un permesso per soli 24 artisti che potevano esporre solo dopo un esame di esecuzione pittorica che accertava le capacità artistiche, apposito ostacolo per scongiurare la presenza di rivenditori di prodotti commerciali.

 

Tutto a posto? Da quello che mi hanno detto alcuni di loro pare di no, o meglio quella che era la miniera di soldi facili non c'è più, anzi adesso non sono più stabili a piazza Navona ma itineranti nelle piazze della capitale. Li ho incontrati infatti giorni fa ad esporre a piazza Trilussa insieme a quelli di piazza di Spagna, altro luogo mitico metropolitano, anch'esso non più estremamente fortunato.

 

Insomma un altro pezzo della Roma pittoresca, è qui il termine è d'obbligo, è stato per sempre cancellato, è rimasto un ricordo dei vecchi nostalgici. Sicuramente un bene per la città, dove  l'abusivismo ha portato tantissimi problemi e che ha ridicolizzato una delle più famose mete culturali al mondo.

 

 

 

Un giusto provvedimento che ha lasciato un po' di amaro in bocca, soprattutto a quegli avventurieri romani che, più o meno scapestrati, si inventavano come raccimolare due soldi, trovando risorse negli interstizi di una capitale di quando era bonacciona e gagliarda, una vita possibile che adesso è scomparsa.

 

 Non più la Roma allegra e spensierata, invidiata da tutti e acclamata in numerosi film di una volta, ma quella di oggi, che mortifica il proprio meraviglioso scenario urbano, preda della ZTL 

 

Ministeriale e degli uffici presidenziali, dei vigili, dei divieti e delle multe salatissime che sempre più limitano l'accesso.

 

Come sapete, io la butto sempre in polemica e anche questa volta non mi risparmio. Mi chiedo e vi chiedo: come mai dopo tutto questo boom di consenso culturale per la street art (approdata anche nelle istituzioni al punto che le circoscrizioni ridipingono intere facciate di edifici assoldando pittori spesso sconosciuti e di dubbia qualità artistica), con il successo mediatico di tanti guru del museo diffuso (come ad esempio De Finis, purtroppo rivelatosi un disastro) non si è pensato a chi per strada c'era già da tempo? Quale promozione culturale questi pittori hanno avuto? 

 


 

È corretto relegarli al ruolo di  ordinari  ambulanti? Purtroppo, come da me puntualmente ribadito, basta parlare d'arte in senso concreto e realistico con dei concetti chiari e ben definiti e tutto il mondo dell'arte si ammutolisce

 

Anche in questo caso accade che chi ricopre incarichi istituzionali, tutta l'intellighenzia, i critici, i cattedratici e non ultimi i divulgatori, che sempre più infoltiscono le schiere della RAI colta, si danno alla clandestinità come i terroristi dopo un attentato. 

 

Vista l'aria che tira, seguono la “moda”... (scherzo, naturalmente).

 

 


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