Con grande sorpresa sto notando che tutto quello che sembrava compatto e granitico con il tempo dà segni di smottamento: non che ci sia un vero e proprio segnale di cambiamento, perché il sistema dell'arte tale era e tale rimane, ma nella forma qualcosa è successo.
Da alcuni anni a questa parte non facevo altro che prendermela con le riviste d'arte che, a dispetto del prestigio che rivestono nell'ambito culturale, erano e sono degli involucri vuoti.
Sì, proprio così, i dotti, i critici e gli storici d'arte occupavano la scena artistica senza dire niente, un paradosso proprio perché i più prolissi e fecondi personaggi dell'arte erano nello stesso tempo i meno affidabili. Bastava leggere un testo di un catalogo o la presentazione di una mostra per non capirci niente.
Nel tempo pare che si sono accorti che non solo la gente comune, quella che con sprezzo consideravano ignorante, ma anche gli stessi addetti ai lavori non seguivano gli autorevoli e illustri luminari dell’arte e, pur facendo parte dell'establishment, venivano meno alla cultura o a quel contenuto che doveva essere considerato la parte più importante della manifestazione, libro o altra opera.
Altro aspetto determinante è stato il fenomeno digitale che non ti costringe, come nel libro o nel cartaceo in genere, a seguire solo quella fonte e non altre, assestando un duro colpo al predominio di certe figure carismatiche, i famosi critici che solo loro in origine avevano il potere del verbo, quando adesso più o meno chiunque può riuscirsi a ritagliare uno spazio comunicativo con un blog e, cosa che prima non c'era, ricevere commenti, elemento quest'ultimo, che ha tolto di scena tanti maniaci di grandezza e soprattutto a messo fine a tanti deliri di onnipotenza per paura di prendere post offensivi.
Renato Barilli, Germano Celant, Achille Bonito Oliva, per dirne alcuni, difficilmente li trovi in internet con un loro apposito testo; puoi leggere qualcosa di loro solo se trovi degli scritti riportati dalle loro pubblicazioni.
Da alcuni decenni questi satrapi del sapere si sono trovati travolti da uno tsunami di lettori di blog molto più seguiti dei loro preziosissimi libri che nessuno o quasi legge.
Ricordiamo pure l'aggravante che tutti questi Big del sapere in tutta la loro prestigiosissima carriera non hanno prodotto un libro di storia dell'arte che abbracci tutta la contemporaneità. Sono diventanti dei grandi perché ognuno si è creato un proprio spazio d'intervento in un singolo settore di arte contemporanea.
Si potrebbe dire “bella furbata, così sono buoni tutti!!”: che senso ha esaltare una cosa quando non è rapportata ad altre, se i paragoni non li fa lo storico dell'arte chi lo deve fare per loro? Peggio ancora se si arroga l'esclusivo ruolo di essere lui il critico. Questa ondata di promozione professionale di storici ha creato il fenomeno che dalle università e dalle accademie escono diplomati e laureati che non hanno un testo di storia dell'arte di riferimento.
Una carenza che ha creato uno strano fenomeno di corporativismo fondato sul niente, ma che, allo stesso tempo, li vede compatti e uniti dove chi non passa per il loro esame non può considerarsi artista.
Tutto questo avveniva furbescamente perché erano tutti sostenitori di un linguaggio criptico e solipsistico che recentemente si è sfaldato.
Quello che forse più di tutti ha creato il cambiamento è l'indicizzazione che fornisce Google sui siti più seguiti, che proprio per questo compaiono tra i primi dell'elenco. Il che premia prevalentemente chi scrive in maniera comprensibile, cioè in prevalenza i blogger. Così è partita una gara di comprensibilità, si è iniziato a seguire il pubblico e a fidelizzarlo, quindi a venire a patti proprio con chi si voleva escludere.
Il fenomeno dei followers ha creato gli influencer e nel campo della cultura è diventato quello dei divulgatori, un ruolo che una volta era esclusivo appannaggio di Piero Angela che ben li personificava, ruolo ricoperto oggi dal figlio Alberto con meno eleganza.
Così si è scoperchiato il vaso di Pandora e vedi tutti alla bramosa conquista di pubblico: Philippe Daverio e Claudio Strinati ne sono stati, tra i recenti, interpreti di grande e meritato successo, mentre i rimanenti sono dei tuttofare che si cimentano in qualsiasi cosa c'è da fare e da dire. Passano dal ruolo di divulgatori scientifici a quello di esperti d'arte o di politica o di storia e varia umanità.
Si esprimono sempre alla stessa maniera, con sicumera e senza contraddittorio. Non faccio i nomi ma chi segue i programmi culturali in TV e le pagine di alcuni giornali mi ha capito.
Così, mentre giungono a dare man forte numerose nuove figure televisive, si nota quello che già si sapeva, che non ci stanno più grosse novità nell'arte. Stranamente l'arte contemporanea, che ha sempre campato sul fatto di rinnovarsi anno dopo anno, si è trovata in fase di stallo e non da poco tempo.
Ecco che spuntano quelli che hanno dubbi e perplessità, come in quell'articolo che ho visto su Artribune su le Sac a poche. Finalmente viene reputata da tutti una stupida scultura come a suo tempo segnalai. Insomma si è fatta avanti una nuova concezione di scrivere sull'arte, meno ossequiosa e ingessata, fenomeno rafforzato dalla polemica sul rogo degli stracci di Pistoletto che a Napoli creò tanto sgomento.
Ma lo stesso avviene anche per l'architettura: Patrick Schumacher, il noto architetto erede dello studio di Zaha Hadid prende di petto la Biennale di Venezia e dice che non è una biennale d'architetti, un po' quello che veniva sostenuto da me in questo giornale.
Spero che questi “contestatori” non si ricredano, perché la loro presa di posizione è un bene per tutti.