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17/11/24 ore

Abitabilità anti Covid


  • Giovanni Lauricella

Una tra le conseguenze culturali della pandemia è l’attenzione alla salubrità degli ambienti chiusi e in particolare della casa che, come a non smentirsi, anche in questo caso, l’abitabilità necessaria è un altro punto dolente su cui non abbiamo alcuna conoscenza delle problematiche infettive da cui salvaguardarsi.

 

Il caso è stato messo all’attenzione di tutti dal noto architetto Massimiliano Fuksas con una lettera inviata al Presidente della Repubblica, redatta insieme a medici, ricercatori e informatici. Una lettera che sollecita l’adeguamento progettuale delle abitazioni rispetto a contagi infettivi. Per quello che si è potuto notare nel panorama politico, gli unici che hanno ingaggiato una lotta in merito sono stati i radicali, che hanno denunciato il rischio di contrarre il Covid 19 in carcere per le disumane condizioni a tutti note.

 

Ma aggiungiamo noi: la nostra casa in tempo di quarantena non era una specie di prigione, e quindi meritevole di pari attenzione? Nell’architettura contemporanea non mancano invero ottime realizzazioni: una per tutte è il Bosco verticale di Boeri a Milano, che come dice il nome è un edificio che permette la coltivazione delle piante in casa, un’eccellenza riconosciuta in tutto il mondo.

 

Viceversa permane un’insidiosa tendenza sbagliata a costruire e a concepire l’architettura, della speculazione edilizia, quella avida della cementificazione o peggio ancora quella delle case abusive poi condonate. Parlo anche della strumentale ideologia di comodo che ha miniaturizzato gli ambienti, un fenomeno di basso profilo finalizzato al denaro ammantato di pretese culturali moderniste.

 


 

Il poraccismo, pessimo termine coniato sul degrado romano, ha tolto soffitti alti, grandi atri e porte d’ingresso, ridotto scale pianerottoli e corridoi, ha eliminato i ballatoi, ha trasformato in appartamenti le cantine e le soffitte, ha tolto i sottoscala, gli “angoli morti” e i tanti piccoli spazi che davano comodità e  personalità alle case.

 

Molto ha influito il distorto uso della tecnica, motivando con l’ascensore la riduzione delle scale, dimenticando che è una volumetria necessaria allo scambio d’aria tra condomini. Climatizzatori e aeratori sono costosi e non sono vere soluzioni, eppure giustificano il basso soffitto delle nuove fabbricazioni cui si fanno pure i controsoffitti per passare cavi e incastrare plafoniere.

 


 

Le città sempre più trafficate e congestionate hanno pure le abitazioni risicate e asfittiche, proprio quel fattore che facilita le infezioni respiratorie, e qui ovviamente non mi riferisco alle case di lusso. Strano a dirsi, le vecchie case popolari degli anni ‘20 hanno ambienti più salubri e ariosi di quelle attuali: come a Roma le case degli operai della Birreria Peroni nella fabbrica ora dismessa tra Porta Pia e la Nomentana, quelle al Flaminio ecc.

 

Purtroppo il fare denaro ha dimenticato chi abita gli alloggi, difficilmente trovi ampi spazi abitabili nelle case recenti. Vedi qui di seguito alcune foto che danno un’idea di com’erano le case anni ’20 e razionaliste, per far capire il cambiamento dato dalla speculazione edilizia dagli anni ’60 in poi che ha dilatato le grandi città, mettendo a rischio la salute dei cittadini: cortili quartiere S.Ippolito al Tiburtino, cortili giardino lotto n.8 case popolari alla Garbatella, edificio a ballatoio al Quarticciolo 40-42 Roberto Nicolini, Palazzo Cattaneo Alchieri o palazzo delle ville sovrapposte  1934-36 a Como Arch. Pietro Lingeri.

 


 

Da non dimenticare che Fuksas appartiene a una gloriosa generazione che in quegli anni vinse battaglie culturali contro i palazzinari, che con i cosiddetti “casermoni” avevano cementificato a dismisura, tema di cui la narrativa realista è piena. Scrivere e dissertare su tali argomenti come faceva Pier Paolo Pasolini è abbastanza facile, ben altra cosa è costruire. Il paradosso è poi che alcuni dei palazzinari fecero dei capolavori d’architettura, come ad esempio le case a torre a viale Etiopia nel quartiere africano di Mario Ridolfi, mentre quelli che si erano schierati politicamente contro i palazzinari lasciarono il problema insoluto.

 


 

Così, come se non fosse mai successo niente, in una mostra dell’abitare al MAXXI, At Home, con la scusa di una nuova riqualificazione, nome magico, resuscitano testardamente il Corviale, il famigerato mega edificio lungo un chilometro per l’appunto ribattezzato il “serpentone” che insieme alle Vele di Scampia e lo Zen a Palermo, tutte nel sud Italia (!?), è tra le abitazioni dove a nessuno piacerebbe andare a vivere.

 


 

I progettisti che le hanno realizzate sono: Mario Fiorentino, Riccardo Morandi (agli onori delle recenti cronache sul ponte di Genova), Francesco Di Salvo e Vittorio Gregotti, sono tutti grandi personaggi della cultura, prestigiosissimi professionisti non ché cattedratici e autori di numerosi libri, èlite  insomma.

 

Meglio conosciuti come “Baroni rossi”, che hanno formato tutta la generazione che oggi abbiamo come migliore espressione dell’architettura nazionale, Fuksas compreso, sono ora sul banco degli imputati, tutti intrappolati, volenti o nolenti, da utopie in voga negli anni ’50 e ’60. Quello era il dibattito culturale che avveniva al CIAM, riunione internazionale d’architettura e di maître à penser. Anni formidabili, diceva Capanna, fomentati da gruppi di sessantottini come il Team 10 e altre “sette” che elaboravano progetti principalmente politici sulle abitazioni, ironicamente definiti  “le case rosse”.

 


 

I coniugi Alison e Peter Smithson,credendo di surclassarlo, imitavano al peggio Le Corbusier; artefici del New Brutalism, edificarono Robin Hood Gardens  (finito nel’72 dopo molti anni che era stato annunciato): un maxi edificio dai costi altissimi, scadente per qualità di materiali (Brutalism per l’appunto), buono per la criminalità, nefasto per la società, l’opposto dei presupposti tanto sbandierati. Incredibilmente fu esempio per altre costruzioni specie in Italia con risultati noti a tutti; storia di sempre è la notizia di cronaca nera di una recente retata di spacciatori al Corviale, edificio sul quale spendono tanti soldi per iniziative culturali e dubbie manutenzioni, un vero e proprio pozzo di S. Patrizio.

 


 

Tutti, dico tutti, gli architetti di quel tempo volevano vedersi approvato un progetto più estremo di Robin Hood Gardens, altro che l'Unité d'Habitation a Marsiglia di Le Corbusier a cui, nascostamente si rifacevano. L’architetto svizzero a riprova degli errori dei suoi imitatori riuscì molto bene in progettazione di grandi edifici abitativi, ne fece altri in Europa e persino a Chandigarh nel Punjab in India, la “città d’argento”, tutti con ottimi risultati.

 


 

Dimenticarselo banalizza la storia (… detto agli storicisti!) e il patrimonio architettonico moderno, in più, far passare per scriteriati gli architetti sopra citati equivale a quelle soluzioni dei regimi totalitari che rinchiudevano nei manicomi chi non era più utile facendoli passare per pazzi. A rigor di logica le cose non sono cambiate molto, il mito della società di massa, anche se rivisto e corretto in quello delle attuali forme di vita comunitaria, persiste e si rinnova senza tenere conto dei problemi umani compreso  quello del distanziamento sociale.

 

 

Ad esempio fa molta tendenza fra gli architetti l’ex ponte ferroviario High Line trasformato in una dellepasseggiate più belle di New York, le affollate «streets in the sky» teorizzate da  Alison e Peter Smithson che è un po’ quello che volevano fare dalle nostre parti alla sopraelevata di Roma. Fa architetti colti elogiare la riqualificazione delle Torre Bois le Pretre di Frédéric Druot, Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal, un grattacielo parigino anni sessanta di 96 appartamenti, anche se migliorati ma sempre con i problemi di una residenza ad alta densità abitativa, proprio quello messo in discussione dalla pandemia.

 


 

Una progettazione ripensata che garantisca standard migliori per la salute pubblica si fa sempre più necessaria come sostenuto da Fuksas, tra l’altro favorevole all’abbattimento delle Vele di Scampia.

 


 

 


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