Tra i tanti problemi che sta creando il distanziamento sociale dovuto alla pandemia, vi è l’impedimento delle manifestazioni pubbliche, in quanto creano assembramenti che potrebbero favorire la propagazione dell’infezione: forse a pagare di più di tutte è il teatro.
Con il termine inglese droplet, parola disorientante che ha il solo valore di suonare bene, si vieta di stare vicini a meno di un metro, che è proprio il piacere che si ha stando seduti in una sala teatrale. Viene così meno quel piacere di condividere emozioni che offre lo spettacolo, il che è anche la prosecuzione degli effetti psicologici negativi della quarantena.
In questo clima d’incertezza scaturito dalla difficoltà di sostenere tale situazione sono in tanti a chiedersi come trovare soluzioni. A rispondere dovrebbe essere chi di dovere, ma al momento pare che tutto sia sospeso; si attendono decisioni in merito per le quali chissà quanto si aspetterà, frustrando le aspettative dei lavoratori e degli appassionati di teatro, la manifestazione culturale più antica e prestigiosa che si possa professare, e che vede particolarmente esposta la post- avanguardia, o i suoi eredi, forse il lato più debole perché non rivolto al grande pubblico.
In contrapposizione vengono in mente altri periodi e altre situazioni che erano l’opposto di quello che stiamo adesso vivendo, quando cioè un certo tipo di teatro, anche se alle volte in maniera elitaria, faceva confluire tanti giovani che si sentivano rivoluzionari.
Il ricordo va a La Gaia scienza, il cui primo lavoro di successo fu La rivolta degli oggetti; un gruppo teatrale molto innovativo per testi, recitazione, presenza scenica degli attori, insieme a una folgorante scenografia. Composta principalmente da Giorgio Barberio Corsetti, Alessandra Vanzi, Marco Solari e molti altri, che in vari periodi si sono susseguiti, la formazione è durata parecchi anni prima che si sciogliesse rimanendo una delle più significative.
Sarà che Giorgio Barberio Corsetti si è ritrovato a essere il Direttore del teatro di Roma, adesso dimissionario, o perché la formazione Solari e Vanzi, continua a tutt’oggi ad avere grande successo in vari importanti teatri (ultimamente al teatro India e all’Auditorium con la Rivolta degli oggetti che rimane il lavoro più famoso sin dalle origini) sta di fatto che continua ad essere ancora riferimento di nuove tendenze, fenomeno che dura ormai da quarant’anni!
Forse a conferire successo è stato anche il nome che si sono dati, La gaia scienza, che fa riecheggiare l’imponente filosofia di Nietzsche o il tema dei loro lavori che si rifà al futurismo di Majakóvskij, potenti componenti culturali che hanno una vena di accattivante follia, tipo di espressione artistica che bene ha personificato l’attore Guidarello Pontani, quando ha avuto la possibilità di partecipare, come recentemente si è visto in Sipario Baretti con Solari e Vanzi. Un gruppo che ha sempre attratto per quella propensione a un nuovo tipo di teatro e a tutti quei continui cambiamenti che sono la caratteristica del teatro contemporaneo.
Per me gli attori della Gaia scienza erano tanti Zaratustra, che ci annunciavano che il vecchio teatro era morto e che la nascente aurora ci avrebbe portato all’oltre vita di tante splendenti oltre donne e di tanti gioiosi oltre uomini, in un nuovo mondo; e mi preme di più ricordare quell’afflato umano fatto di compagni, di socializzazione, di emozioni, di sentirsi uniti e di stare insieme solidali, in una forma fisica che si stringeva intorno al messaggio che quel lavoro teatrale emanava, agli antipodi, insomma, del distanziamento sociale.
Non era solo spettacolo ma teatro e speranza di cambiamento insieme a nuove formulazioni di espressioni volte ad abbattere le precedenti concezioni, dove Majakovskij fungeva da ariete da sfondamento delle costrizioni del teatro tradizionale e d’intrattenimento. In gran parte era utopia o anche un’illusione, ma dava un’eccitazione che manteneva viva la partecipazione e ci faceva sentire coinvolti, anche se poi, in definitiva, si stava semplicemente seduti ad assistere.
Tempi lontani, che è bene sentire vicini, soprattutto adesso che siamo sprofondati nel timore, nella paura di morire, proprio l’opposto di quello che era questo genere teatrale: il coraggio sfrontato ed esuberante di chi voleva stravolgere l’arte e la società, di chi con l’azione teatrale voleva cambiare il mondo. Tutt’altra situazione da quella che c’è adesso che siamo preoccupati dalle nostre fragilità, che saranno pure giuste ma verso la quali dovremmo reagire, superare lo stress.
“Tutto ciò che non mi fa morire mi rende più forte” diceva Il crepuscolo degli idoli di Nietzsche (1888). Ovvero dovremmo essere, in un altro senso figurato, come la ginestra che cresce e si mantiene dappertutto come diceva Giacomo Leopardi nella poesia “La Ginestra o il fiore del deserto”.
Resilienza, in una parola: una condizione fatta di coraggio, tenacia e speranza, che Bauman definiva armi umane, di forza d’animo, per Umberto Galimberti. Platone nella teoria dell’anima descritta nel Fedro la raffigura nell’auriga (anima razionale) che guida i due cavalli alati (l’uno bianco, l’emozione, l’altro nero, la passione) in una metafora coniata per immaginare il futuro con respiro e cuore “Thymoeldès”.
Niente di meglio che una cura del genere in un momento come questo, dedito alla completa passività, quasi una terapia d’urto contro l’assopito quotidiano, che un po’ per tutti trascorre trascinato a fatica dai pochi impegni della giornata. Le cose cambiano, non si può pretendere che restino sempre uguali nel tempo, per questo urge convertire il trauma subìto in una risorsa.
Riconquistiamo quella forma di bisogno d’umanità che il teatro esprimeva, anche se molti maestri purtroppo sono scomparsi dalla scena, come Simone Carella del Beat 72, del festival dei poeti a Ostia e di tante altre importanti manifestazioni artistiche, avvenute prevalentemente quando era assessore l’architetto Renato Nicolini, ideatore di quell’Estate Romana illustrata da tantissimi artisti, tra cui spiccava la figura incredibile di Victor Cavallo che meglio di tutti ha saputo descrivere proprio Alessandra Vanzi in un articolo sul Manifesto.
Tra questi reperti archeologici esistenziali e sentimentali, intendo riportare alla luce qualcosa di più dell’umanità in sé che nell’articolo precedente sulla reinterpretazione di convergenze/divergenze di Notargiacomo erano le masse in rivolta: parlo di quelle ondate umane che travolgevano tutto come uno tsunami, anche lo stesso palco come avvenne sulla spiaggia di Ostia, dove la crema dell’avanguardia letteraria mondiale rotolò a terra in un’anarchica risata.
In margine aggiungo l’appello della raccolta firme contro lo sgombero di Frigolandia, che appieno echeggia quello spirito di aggregazione collettiva, centro culturale della rivista il Nuovo Male e Frigidaire di Vincenzo Sparagna. A ricordo pongo le foto di cortesia di Claudio De Dimanche, Dino Ignani e Carlo Maria Causati. Come conclusione, data la provenienza del virus, mi viene a taglio un detto di Confucio: ”La nostra gloria più grande non sta nel non cadere mai, ma nel risollevarsi sempre dopo una caduta”.