Anderson Cooper, noto anchorman della CNN, per fare il suo coming out ha scritto un messaggio di posta all'amico e giornalista Andrew Sullivan, del The Daily Beast, che ha fatto il giro del web.
Qui di seguito riproponiamo il carteggio nella versione tradotta in italiano.
"Il fatto è che sono gay"
La scorsa settimana, Enternainment Weekly ha pubblicato un servizio riguardo un trend emergente: le persone gay nella vita pubblica fanno coming-out in un modo più sobrio e realistico rispetto al passato. Sotto molti punti di vista si tratta di uno sviluppo importante: siamo abbastanza evoluti da non rimanere esterrefatti quando veniamo a sapere che qualcuno è gay.
Ciononostante, mi sembra importante che questo venga rilevato pubblicamente. Abbiamo ancora pastori che chiedono la morte di persone gay, incidenti di bullismo e suicidi tra i ragazzi omosessuali e un importante partito politico che mira a eliminare quel diritto civile fondamentale che permette alle persone di sposare chi amano. Questi “non-eventi” costituiscono quindi fatti di un certo tipo; e sono significativi.
La visibilità delle persone omosessuali è uno dei presupposti per l’uguaglianza. Tutto questo è una premessa per dire che con Anderson Cooper siamo amici da più di 20 anni. Gli ho chiesto un parere in merito al suddetto argomento per via di ragioni che sono probabilmente ben note alla maggior parte.
Ecco la sua mail di risposta che ho il permesso di pubblicare:
“Andrew, come sai, la questione che hai sollevato è una di quelle cui penso da anni. Anche se il mio lavoro mi mette sotto i riflettori, ho cercato di mantenere un certo livello di privacy nella mia vita. In parte questo è dovuto a pure esigenze personali.
Penso che la maggior parte della gente voglia privacy sia per se stessa sia per le persone che le sono accanto. Ma ho anche voluto mantenere un po’ di privacy per motivi professionali, Da quando 20 anni fa ho cominciato a lavorare come reporter nelle zone di guerra, mi sono spesso trovato in luoghi estremamente pericolosi. Per la salvaguardia personale e delle persone con le quali lavoro, cerco di armonizzarmi il più possibile, e preferisco attenermi al mio compito di raccontare la storia di altre persone piuttosto che la mia.
Ho scoperto che qualche volta quanto meno il soggetto di un’intervista conosce di me, tanto più efficacemente riesco a svolgere il mio lavoro di giornalista in sicurezza. Ho sempre creduto che un reporter non debba parlare pubblicamente di chi vota, quale religione professa e chi ama. Se un giornalista si dimostra imparziale e corretto nel suo lavoro, non deve importare la sua vita privata.
Ho aderito a questi principi per tutta la mia vita professionale, anche quando mi è stata direttamente posta “la domanda gay”, cosa che occasionalmente accade. Non ho affrontato la questione del mio orientamento sessuale nell’autobiografia che ho scritto alcuni anni fa perché si trattava di un libro incentrato sulla guerra, sui disastri, sulle perdite e sulla sopravvivenza. Non avevo intenzione di parlare di altri aspetti relativi la mia vita. Tuttavia, recentemente ho iniziato a valutare se i risultati involontari scaturiti dall’aver mantenuto un certo riserbo avessero un peso maggiore rispetto ai principi personali e professionali.
Ho capito che rimanendo in silenzio così a lungo su certi aspetti della mia vita privata, avrei dato adito ad alcune incomprensioni e dato l’impressione di voler nascondere qualcosa – qualcosa che mi faceva sentire a disagio, spaventato e di cui mi vergognavo. Questo è angosciante perché è semplicemente falso.
Recentemente mi è stato inoltre ricordato che mentre dal punto di vista sociale ci stiamo muovendo verso un’inclusione e un’uguaglianza tra le persone via via maggiori, il corso della storia avanza solo quando le persone si rendono pienamente visibili. Continuano a esserci fin troppi incidenti di bullismo tra i giovani, come pure episodi di discriminazione e violenza basate sull’orientamento sessuale di persone di tutte le età e credo che sia importante chiarire da che parte sto.
Il punto è che sono gay, lo sono sempre stato e sempre lo sarò, e non potrei essere più felice a mio agio con me stesso e orgoglioso. Sono sempre stato molto aperto e sincero con i miei amici, la mia famiglia e i miei colleghi riguardo questo aspetto delle mia vita. In un mondo perfetto non credo questo riguardi nessun altro, ma penso invece che sia importante prendere una posizione ed esprimere la propria opinione.
Non sono un attivista, ma un essere umano e non smetto di esserlo perché sono un giornalista. Fin dai primi giorni in veste di reporter, ho lavorato duramente per descrivere nei media con accuratezza e imparzialità le persone omosessuali – e per descrivere con altrettanta accuratezza e imparzialità quanti, per qualsiasi motivo, sono contrari ai primi.
Promuovere una causa non rientra nel mio lavoro, quanto piuttosto essere inesorabilmente corretto in quello che vedo, dico e faccio. Non ho mai voluto essere nient’altro che un buon reporter, e non desidero promuovere nessuna causa che non sia la verità.
Essere un giornalista, viaggiare in luoghi remoti, cercare di capire le persone con i loro differenti background, raccontare le loro storie, è stata questa la gioia più grande della mia carriera e spero di continuare a farlo ancora per il tempo a venire. Ma se da un lato mi sento fortunato ad aver avuto così tante opportunità come giornalista, mi sento fortunato anche per ciò va oltre l’aver avuto una grande carriera. Amo e sono amato.
Secondo me la capacità di amare un’altra persona è uno dei regali più grandi che Dio potesse farci e lo ringrazio tutti i giorni per avermi reso capace di dare e condividere amore con le persone che fanno parte della mia vita.
Apprezzo che tu mi abbia chiesto di intervenire a riguardo e sarei felice che tu condividessi i miei pensieri con i tuoi lettori. Mi ritengo ancora una persona riservata ma ciò non esclude di concedere una piccola parte di spazio privato. Ma credo che la visibilità sia importante, ancor più che preservare il mio “scudo” di privacy come reporter.”
Anche io.
traduzione a cura di Federica Matteucci