di Roberto Aliboni
(da affarinternazionali.it)
La crisi in corso a Gaza è destinata a segnare una svolta sia nella dinamica regionale sia nei rapporti tra mondo arabo e Occidente per come si erano sviluppati dopo l’avvio della Primavera araba, nel 2011. Soprattutto se, come ormai sembra certo, sfocerà in un’altra invasione da parte di Israele.
I cambiamenti politici avviati dall’inizio del 2011 si sono tradotti nella caduta di tre regimi chiave per gli interessi dell’Occidente: Egitto, Tunisia e Libia. Un processo non ostacolato da Usa e Ue: il presidente Obama ha infatti scelto di lasciar cadere il rais egiziano Mubarak per procedere poi a un vero e proprio rovesciamento delle alleanze, da Mubarak ai Fratelli musulmani.
Una decisione che riflette l’evoluzione della strategia globale americana: concentrazione delle risorse nell’area asiatica e diminuzione della presenza diretta altrove, attraverso una migliore gestione delle alleanze locali e regionali e della relativa diplomazia.
In Medio Oriente, perciò, l’impegno a sostenere alleati ormai insostenibili è stato scartato, scommettendo sull’intesa con i partiti islamisti moderati in merito ai maggiori interessi americani e occidentali nella regione. A cominciare dal mantenimento del regime di sicurezza instaurato dal Trattato di pace israelo-egiziano di Camp David del 1979.
La prospettiva scelta da Obama non è infondata. A fronte del mantenimento del Trattato, i Fratelli musulmani si apprestano a ricevere gli stessi aiuti forniti ai regimi autoritari più lo sforzo supplementare che la “Primavera araba” ha messo in moto in Europa, nel Golfo e nel contesto internazionale. Questo è un fattore cruciale per la Fratellanza, che eredita una situazione socio-economica molto grave e ha bisogno di grandi investimenti e cooperazione tecnologica, innanzitutto ovviamente dall’Occidente.
Inoltre, l’ascesa del sunnismo in Nord Africa e nel Levante rinsalda i legami con il Golfo e crea un esteso fronte d’intesa politica volto a bilanciare e smorzare l’ascesa dell’Iran e dei suoi alleati nella regione. Un’intesa sunnita, anche se sacrificherà le aspettative democratiche delle minoranze liberali e religiose della regione, rientra nella strategia di controllo indiretto che gli Stati Uniti stanno costruendo.
Perciò, l’aspettativa è che i sunniti, dai Fratelli musulmani in Egitto alle monarchie del Golfo, in cambio dell’appoggio politico e dell’integrazione nel circuito economico-finanziario del capitalismo internazionale, si facciano carico di mantenere l’essenziale del sistema di sicurezza di Camp David. Cambiamento regionale Questa prospettiva non è automatica né al ribasso.
Non si tratta solo di qualche aggiustamento marginale, come la rinegoziazione dell’annesso militare al Trattato in vista di una migliore sicurezza nel Sinai. In realtà è una grossa sfida diplomatica che punta ad un cambiamento ordinato e consensuale dell’assetto regionale ma richiede, come condizione della sua realizzazione, un rinnovato e maggiore sforzo da parte degli Stati Uniti per dare una soluzione definitiva e soddisfacente al conflitto arabo-israeliano.
Ci si aspetta infatti che tale sforzo debba assumere un ruolo centrale nel secondo mandato di Obama. Nei mesi passati la diplomazia araba è apparsa muoversi nei confronti di Hamas in linea con questa prospettiva...
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