di Tommaso Alpina
Sono atterrato al Queen Alia International Airport il 9 settembre, oramai più di un mese fa. Letteralmente nel bel mezzo del deserto. Pieno di fiducia nella stabilità politica della Giordania, una ‘piccola Svizzera’ del Medio Oriente, come andavo ripetendo da giorni a chi mi chiedeva perché avessi scelto di studiare proprio in Giordania.
Certo, Rania e i suoi continui passaggi televisivi hanno influito non poco sull’immagine che mi ero fatto di questo paese, lontano anni luce dalle miserie, politiche e sociali, dei suoi vicini. Quanto mi sbagliavo. E stavo per rendermene conto. In fondo, se ci pensate, della Giordania non si sa nulla. Perché nessuno ne scrive, nessuno ne parla, né in Italia, né all’estero (salvo rare eccezioni, come le inchieste di Sonja Zekri apparse sulla Süddeutsche Zeitung o gli articoli di Alice Marziali per Limes).
Ma eccitato com’ero dalla prospettiva di vivere ad Amman per un semestre non ci ho fatto molto caso e con l’immagine di Rania che durante uno dei tanti Festival di Sanremo sottolinea il suo impegno a favore della emancipazione delle donne arabe, mi apprestavo a toccare il suolo giordano. Pochi giorni dopo il mio arrivo, non appena se ne presenta l’occasione chiedo ai miei ospiti come sono i rapporti tra la Siria e la Giordania.
«Il re – mi risponde la mia padrona di casa – non permetterebbe mai che accada qui quello che è accaduto in Siria». «Il governo è molto forte – aggiunge suo figlio – controlla tutto. Il re discende direttamente dal Profeta. Non possono rovesciare il suo governo come cercano di fare con Bashar al-Assad.» E già, penso io, c’è pure questo dettaglio da mettere in conto. ‘Abd Allah II, re della Giordania, appartiene alla dinastia hashemita, la cui origine viene fatta risalire niente meno che al bisnonno del profeta Maometto (il cui nome era appunto Hashim).
Le questioni politiche sono legate a filo doppio con quelle religiose: non sarà facile avere qui una nuova Tunisia. E poi, qui, il re è molto amato. O almeno così sembra. I giorni passano e la versione è sempre la stessa: il re è forte, il governo è saldo e controlla tutto, qui si può stare davvero tranquilli. C’è, però, chi mi avverte: «Simili opinioni le abbiamo sentite anche in Tunisia un mese prima dei disordini». Certo, anche al più ingenuo non può sfuggire che dietro l’ossessiva ripetizione di queste parole c’è qualcosa di più. E quel qualcosa è il modo in cui il sovrano esercita il suo potere...
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