di Carlo Nordio
(da il Messaggero)
Mentre si risolve, per il benemerito intervento della Chiesa, dell’Irlanda e dell’Albania, l’aspetto umano della nave “Diciotti”, si complicano l’aspetto giuridico e quello politico. Cerco di riassumerne le ragioni.
L’aspetto giuridico. Secondo notizie di stampa, il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, e il suo braccio destro sarebbero indagati per arresto illegale, sequestro di persona e abuso d’ufficio. Il provvedimento sarebbe stato adottato dopo la deposizione di due alti dirigenti del Ministero. La prima osservazione è che questi verbali dovrebbero esser segreti, come segreta dovrebbe esser tutta l’indagine. Non vorremmo che si ripetesse la storia di Berlusconi cui l’informazione di garanzia fu notificata a mezzo stampa, senza che nessuno abbia mai individuato il responsabile.
La seconda osservazione è che, sempre a sentire i “testimoni”, mancherebbe un atto formale del Ministero nell’individuazione del porto di approdo e delle ragioni della sosta a Catania. Se così fosse, i problemi sarebbero immensi. Intanto, in assenza di un documento ufficiale, è quasi impossibile ricostruire la decisione ministeriale, il suo contenuto e il suo iter formativo. Poi è difficile capire se il porto di Catania sia stato individuato come porto di solo transito, o come porto “sicuro”, o cosa altro.
E ancora, la competenza: l’indagine preliminare è ovviamente attribuzione del Tribunale dei Ministri, e pare che sia già stata avviata la procedura di trasmissione del fascicolo. Ma il mittente dev’essere la Procura Distrettuale competente: che è Catania o Palermo? Mah! Infine i reati: l’arresto illegale presuppone, appunto, un arresto in senso tecnico, e qui pare invece che non sia stato arrestato nessuno.
Quanto al sequestro di persona, se Catania era solo un porto di transito, il problema ovviamente non si pone. Se invece era quello di approdo, è valutazione discrezionale del Ministro decidere se uno sbarco sia compatibile con l’ordine pubblico. Contestare un sequestro di persona, che per definizione dev’esser illegale, a un ministro che – con tutte le legittime critiche etiche e politiche – fa il suo mestiere, è dunque un paradosso.
Sarebbe come accusare il Procuratore di Agrigento di aver turbato l’attività politica di un ministro con la minaccia di mandarlo sotto processo! Resta l’abuso di ufficio, cui prudentemente è ricorsa la Procura come rete di protezione per eventuali derubricazioni delle ipotesi precedenti. Ma è un reato così vago e fumoso che è ben difficile provarne la commissione, soprattutto in un’ attività altamente discrezionale.
E ora l’aspetto politico. Che il ministro Salvini si sia espresso, e continui a esprimersi, in sedi non istituzionali e in termini pittoreschi, è circostanza che, al netto di qualche consenso immediato ed emotivo, rischia di svalutare il prestigio e l’autorevolezza dell’Istituzione. Che però si prospetti, anche solo astrattamente, una sua “delegittimazione” o un suo allontanamento per un’iscrizione nel registro degli indagati è una stupidaggine così colossale che, se non vivessimo in Italia, non varrebbe nemmeno la pena di parlarne.
Poiché infatti l’iscrizione è automatica a seguito di una denuncia che non sia anonima, noi faremmo dipendere la sopravvivenza di un ministro, e magari di un governo e di una legislatura, non solo da un’eventuale iniziativa improvvida di un magistrato operoso, ma addirittura da quella, interessata, di un cittadino motivato. Per fortuna i grillini, avvicinandosi alle stanze dei bottoni, hanno capito che questa follia andava espunta dal loro codice etico.
Concludo. Noi speravamo che, dopo la parentesi berlusconiana, quando i magistrati erano sospettati di imbastire processi per fermare il Cavaliere, e quest’ultimo era sospettato di produrre leggi per fermare i processi, tra giustizia e politica si fosse conclusa una tregua. Ora queste speranze cominciano a svanire. Le iniziative di questi giorni saranno anche doverose, ma rischiano di generare pericolose interferenze della magistratura nella delicatissima gestione di un fenomeno che può essere affrontato solo con gli strumenti della politica, preferibilmente in un contesto europeo o addirittura mondiale.
L’idea che le Procure possano intervenire nelle scelte migratorie è non solo bizzarra, ma irrazionale e ingestibile, non foss’altro perché i Pm non hanno un indirizzo unitario, non sono ordinati gerarchicamente, e, cosa più importante, non subiscono alcuna sanzione per eventuali scelte sbagliate. Mentre infatti un ministro incapace, imprudente o inetto può esser mandato a casa dal Parlamento o dagli elettori, un Procuratore può cumulare errori catastrofici senza rispondere a nessuno.
Quanto alle conseguenze di queste indagini, esse rischiano di avere, naturalmente contro la volontà di chi le conduce, “oggettive” conseguenze politiche. Potrebbero indebolire il Governo, e quindi pregiudicare la legislatura; ma potrebbero anche rafforzarlo, come indicano i sondaggi tra i cittadini, perplessi che si indaghi un ministro e si lascino in pace scafisti e trafficanti. In entrambi i casi qualcuno potrebbe aver la tentazione di valersi ancora una volta dell’arma giudiziaria per conseguire risultati altrimenti irraggiungibili.
E in entrambi i casi ne uscirebbero ancora più malconcie tanto la politica quanto la giustizia.
(da il Messaggero)