Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

16/11/24 ore

Dal “New York Times” a “La Repubblica”, il mondo arabo allo specchio del Memri



di Thomas L. Friedman

 

Lunedì il responsabile della redazione del Times al Cairo ha riportato le parole di uno dei manifestanti egiziani fuori dall'ambasciata degli Stati Uniti: giustificando le violenti proteste della settimana scorsa, Khaled Ali ha dichiarato: "Noi non insultiamo nessun profeta, né Mosé, né Gesù. Perché dunque non possiamo esigere che Maometto sia rispettato?". Ali, un operaio tessile di 39 anni, reggeva un cartello riportante la scritta in inglese "Chiudi il becco, America".

 

Ha concluso dicendo: "Il presidente è Obama, ed è lui che dovrebbe chiedere scusa". Sulla stampa ho letto parecchi commenti di questo stesso tenore espressi da vari dimostranti, e mi trovo in grande difficoltà. A me non piace che si offenda la religione di nessuno, ma vanno dette due cose, e molto chiaramente. Con ancora maggiore chiarezza di quanto abbia fatto il team di collaboratori del presidente Obama. La prima è che un'offesa - per quanto ottusa e malfatta come il filmato anti-islamico messo su YouTube che ha scatenato tutto ciò - non dà alcun diritto a chicchessia di assaltare le ambasciate e assassinare diplomatici innocenti. Non è questo il comportamento che più si addice a un popolo che si autogoverna. Non ci sono giustificazioni che tengano per una cosa del genere. È semplicemente vergognoso.

La seconda è che prima di pretendere le scuse del nostro presidente, Ali e gli altri giovani egiziani, tunisini, libici, yemeniti, pachistani, afgani e sudanesi che sono scesi in piazza farebbero meglio a guardarsi allo specchio, oppure ad accendere la televisione. Potrebbero così vedere quanta bile sciovinista alcuni dei loro stessi mezzi di comunicazione stiano continuando a riversare - sulle emittenti tv via satellite, sui siti web, o nelle librerie improvvisate sui marciapiedi fuori dalle moschee - contro sciiti, ebrei, cristiani, sufi e chiunque altro non sia sunnita, integralista o musulmano.

 

Esistono individui nei loro paesi per i quali odiare "l'altro" è diventato motivo di identità e una legittimazione collettiva per non essere riusciti a realizzare in pieno le loro potenzialità. Il Memri (Middle East Media Research Institute, Istituto di ricerca sui media mediorientali) è stato fondato nel 1998 a Washington da Yigal Carmon, ex consigliere per l'antiterrorismo del governo israeliano, con lo scopo di "colmare il divario espressivo esistente tra Medio Oriente e Occidente, monitorando, traducendo e studiando i media arabi, iraniani, urdu e pashtu, come pure i testi scolastici e i sermoni dei religiosi".

 

Di Memri ammiro molto il fatto che non traduce soltanto i contenuti sgradevoli, ma anche i commentatori arabi liberali, riformisti e coraggiosi. Ho chiesto se potevano inviarmi un campione dei filmati che istigano all'odio regolarmente trasmessi dalle emittenti arabo-musulmane…..

 

prosegui la lettura integrale su Repubblica.it


Aggiungi commento